E ora attenti alla banca. Se fallisce si paga

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Milano 3 Gennaio – L’assaggio del bail-in gli italiani lo hanno avuto con le quattro banche che il governo ha salvato con un decreto ad hoc. Ma da ieri tutti i correntisti e i risparmiatori non avranno più scuse da accampare in caso di fallimento di un istituto di credito. Dalle ore 24 del 31 dicembre scorso, infatti, le nuove norme europee per il salvataggio bancario sono pienamente in vigore. E il bail-in, termine anglosassone che identifica la procedura con la quale il default di una banca si evita usando le risorse dei privati e non più pubbliche, cambia tutto nel rapporto tra cliente e sistema del credito. Sì, perché le banche sono trattate alla stregua delle imprese private e nel caso di crisi o di fallimento saranno chiamati a pagare prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti e infine i correntisti con giacenze superiori ai 100 mila euro. Un cambio radicale di mentalità e di approccio da parte del cittadino comune che, nella scelta dell’intermediario finanziario al quale affidare i suoi averi, dovrà mettere più attenzione che nel passato. Il rischio di perdere denaro è più elevato. Ecco cosa bisogna sapere secondo la guida stilata ad hoc dall’Associazione Bancaria Italiana.

LA RISOLUZIONE

Il nuovo meccanismo del bail-in prevede una serie di misure preventive per scongiurare la crisi bancaria. Solo se quest’ultime risultassero non efficaci si attiverebbe un meccanismo di gestione che culmina nella cosiddetta risoluzione della banca. Ovvero nella creazione di una “good bank” per continuare l’attività operativa, lasciando nella “bad bank” le passività e i debiti da riequilibrare sforbiciando i valori di azionisti e obbligazionisti. Tutto il processo avviene sotto il controllo e l’indirizzo delle Autorità di Risoluzione (Banca centrale europea e Banca d’Italia).

CHI PAGA 

In caso di crisi, la procedura di risoluzione sarà avviata in prima battuta sul capitale degli azionisti. I soci della banca vedranno azzerato il valore dei loro titoli. Solo se il loro sacrificio non è sufficiente a coprire il buco del bilancio sono chiamati a intervenire i titolari di altre categorie di strumenti finanziari emessi dalla banca stessa secondo un ordine che è dato dal rischio stesso dell’investimento. La prima categoria di titoli a essere aggredita sono le «azioni e altri strumenti finanziari di capitale». A rischiare in questa fase sono le azioni di risparmio (capitale di rischio ma con un trattamento privilegiato nell’attribuzione dei dividendi) e le obbligazioni convertibili in azioni. Solo quando si sarà azzerato il loro valore e questo non sarà sufficiente, si passerà ai «titoli subordinati senza garanzia», attenzione quindi alle cosiddette obbligazioni junior diventate celebri con il crac delle quattro banche. Esaurita questa categoria di titoli, si passa ai «crediti non garantiti», come i bond bancari che pur non essendo né subordinati né strutturati non sono però garantiti. Occhio dunque a quanto si sottoscrive nelle filiali bancarie.

I CORRENTISTI

Gli ultimi a essere chiamati a pagare pegno sono i conti correnti superiori ai 100 mila euro delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese. Fino a 100mila euro, infatti, i depositi sono garantiti dal Fondo di garanzia dei depositi. La cifra sale a 200mila euro se il conto è cointestato, ad esempio tra i coni coniugi, perché la garanzia non riguarda il conto in sé ma è stabilita per ogni singolo depositante.

IL RISPARMIO

Cambiata la legge ora deve cambiare anche l’ottica del risparmiatore. I consigli partono dalla maggiore informazione possibile tenendo conto della regola aurea dell’investimento che recita che ad alti rendimenti offerti si associa un rischio di perdita più elevato. Una massima semplice ma poco rispettata soprattutto in epoca di tassi zero come quella attuale. Inattaccabili restano i depositi sotto i 100 mila euro e le obbligazioni emesse dalla banca ma coperte da apposita garanzia come ad esempio i covered bond. Garantite anche le cassette di sicurezza o i titoli detenuti nel deposito titoli (tranne quelli emessi dalla banca in default. Si tratta di beni di proprietà del risparmiatore e la banca agisce solo da custode.

Filippo Caleri (Il Tempo)

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