Migranti, il brutto affare dei salvagente falsi

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Milano 9 Gennaio – Li producevano in un laboratorio clandestino di Smirne, in Turchia, i giubbotti di salvataggio non galleggianti destinati ai migranti, che, attraverso l’Egeo, tentano di trovare la salvezza. La polizia ne ha sequestrati 1.200. Erano imbottiti di materiale per imballaggio che in un istante, impregnandosi d’acqua, si appesantiva, provocando l’inevitabile affondamento del disperato che lo indossava per provare a raggiungere le coste europee. Gli agenti, ieri mattina, hanno fatto irruzione nello stabilimento, scoprendo, tra l’altro, che i giubbotti difettosi, che i migranti acquistavano e indossavano convinti che li avrebbero tenuti a galla il tempo necessario per raggiungere la mèta, erano prodotti da profughi siriani, alcuni dei quali minorenni impiegati clandestinamente. La marca sopra impressa era «Yamaxa», simile alla nota «Yamahà», noto brand del settore. L’inganno, insomma, era totale. Il costo del giubbotto era di 20 lire turche, circa sei euro. Secondo le autorità locali, proprio l’utilizzo di questi giubbotti potrebbe essere fra le cause principali delle morti per annegamento registrate negli ultimi mesi. Solo tre giorni fa, infatti, in piena notte, due naufragi hanno provocato la morte di almeno 36 persone nelle acque tra Turchia e Grecia. Tra loro anche diversi bambini e una donna incinta. Molte delle vittime avevano ancora addosso il giubbotto. Si tratterà di verificare, vista la macabra scoperta di ieri, se erano stati comprati proprio nello stabilimento di Smirne. Il Mediterraneo, insomma, continua a mietere le sue vittime fra i profughi che tentano di approdare sulle nostre terre. Secondo l’Organizzazione internazionali per le migrazioni e l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, nel 2015, del milione di disperati che hanno tentato di attraversare quelle acque, metà dei quali siriani che fuggono dalla guerra, ben 3.700 sono morti. Mai, dai tempi della Seconda guerra mondiale, si era registrato un flusso migratorio di tali proporzioni. Vittime sono spesso i bambini. Pochi giorni fa l’Unicef ha comunicato che l’anno scorso i bambini annegati nel Mediterraneo sono stati 700. Tanti piccoli Aylan, dal nome del bambino di 3 anni morto su una spiaggia turca e la cui foto ha fatto il giro del mondo. Quando, poche settimane fa, il Papa ha affermato che “tanti bambini riescono ad arrivare e tanti no”, monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei, ha così commentato: «Sono parole che aiutano a tenere vivo il ricordo degli oltre 700 minori morti nel Mediterraneo. Un dramma che continua nell’indifferenza. Lasciar morire dei bambini in mare significa lasciar morire il nostro futuro». Anche il 2014 è stato crudele per i migranti. In quell’anno, infatti, le stesse acque hanno inghiottito la vita di 3.419 «anime» su un totale di 207mila migranti che hanno tentato di attraversarle. Per l’Unhcr la traversata del Mediterraneo rappresenta «la strada più mortale del mondo». La prima vittima del 2016 fra i migranti è stato un piccolo siriano di nome Khalid. Aveva due anni e il gommone sul quale viaggiava si è schiantato sulle rocce di un’isola sull’Egeo. E, poco prima di Natale, un’imbarcazione che cercava di raggiungere l’isola greca di Kos è affondata nella baia di Bodrum, portandosi via la vita di 18 persone.

Luca Rocca (Il Tempo)

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