Milano 14 Gennaio – Il Consiglio superiore della magistratura non vuole che si «ficchi il naso» nei suoi conti. È dal lontano 1998 che il Csm non presenta i conti giudiziali alla Corte dei conti. In pratica, sono ben diciotto anni che i giudici contabili non possono esaminare la corretta rendicontazione delle spese effettuate, anno per anno, per il funzionamento dell’organo di autogoverno della magistratura. «Non siamo tenuti a farlo», è l’interpretazione difensiva del Csm. Ora saranno i magistrati di via Baiamonti a decidere se questo organo dello Stato può ritenersi effettivamente «immune» dal controllo della Corte dei conti o se invece non ha agito correttamente, per tutti questi anni, aggirando il controllo dei giudici contabili. Domani si terrà, davanti alla sezione giurisdizionale per il Lazio, il cosiddetto giudizio per la resa del conto. In sostanza, si discuterà sull’assoggettabilità del Consiglio superiore della magistratura all’obbligo di presentare il rendiconto delle sue entrate e delle sue uscite.
Il conto giudiziale è un documento in cui viene certificato come sono stati utilizzati i soldi pubblici. La compilazione è delegata agli agenti contabili, cioè a coloro che hanno maneggio di denaro o di valori dello Stato. Spetta a loro dimostrare come sono stati spesi i fondi stanziati per il funzionamento degli enti pubblici o degli organi dello Stato, allegando ricevute e giustificazioni. Il conto giudiziale deve prima essere approvato dalla stessa amministrazione e poi inviato alla Corte dei conti. I magistrati non sono chiamati a valutare nel merito come sono stati spesi i soldi pubblici, ma se tutte le uscite sono giustificate correttamente. La sentenza finale può essere di «discarico», quando il conto è regolare, o di condanna, quando vi sono voci di spesa che risultano non giustificate. In quest’ultimo caso l’agente contabile viene condannato a rifondere le spese. Ogni volta che il conto giudiziale non viene presentato alla Corte dei conti, ne nasce un giudizio per la resa del conto.
Nel caso di specie, gli agenti contabili che operano in seno al Csm sono dipendenti pubblici che fanno capo all’Economo, all’Istituto Cassiere e al Consegnatario dei beni. Sono incaricati di gestire i fondi stanziati dal ministero dell’Economia per il funzionamento degli uffici di piazza dell’Indipendenza. Una volta incamerato questo denaro, devono dimostrare come viene erogato: dal pagamento degli stipendi del personale, alle spese di cancelleria o di guardiania. Ebbene, si è scoperto che dal 1998 il Csm non presenta i conti giudiziali alla Corte dei conti. Il giudice relatore, Ivan De Musso, nonché presidente della sezione contabile per il Lazio, ha inviato una lettera di ricognizione al Csm. La risposta del segretario generale è stata perentoria: il Consiglio non è soggetto a questo controllo. Da qui si è aperto il processo che verrà discusso domani. La memoria difensiva con cui il Csm si è costituito in giudizio verte su due punti: in primo luogo, l’organo è dotato di autonomia contabile e amministrativa, il controllo sulle spese viene effettuato in virtù di un regolamento interno; in secondo luogo, in quanto organo costituzionale, il Csm non sarebbe soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti. Secondo invece l’interpretazione del giudice relatore, la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione parla chiaro al riguardo: solo gli organi costituzionali «supremi» non sono obbligati a presentare il conto giudiziale, e tra questi non rientra il Csm. Come organi costituzionali «supremi», infatti, vengono contemplati solo la Presidenza della Repubblica, i due rami del Parlamento e la Corte costituzionale. Se questa interpretazione verrà accolta dal collegio, il Csm sarà costretto a mostrare tutte le sue spese, senza più scuse.
Valeria Di Corrado (Il Tempo)
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