Milano 16 Gennaio – «Sono trent’anni che aspettiamo, finalmente si fa luce sull’omicidio di Lidia». E’ il commento di Paola Macchi, la madre della studentessa di Legge alla Statale uccisa con 29 coltellate nel gennaio 1987 a Cittiglio. «La procura di Milano ha lavorato in silenzio, ma ha lavorato sodo» aggiunge Paola Macchi. Su Stefano Binda, finito in manette con l’accusa di omicidio, la mamma di Lidia ha detto di averlo visto poche volte in passato e che non frequentava la loro casa.
Sul fronte dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Binda, che nel frattempo è stato trasferito dalla Questura a una cella nel carcere varesino dei Miogni, si iniziano ad apprendere particolari importanti.
A portare gli inquirenti sulle piste del quarantasettenne sarebbe stata la pubblicazione sulla “Prealpina”, nel maggio scorso, della lettera inviata il giorno del funerale di Lidia, il 9 gennaio 1987, ai genitori della vittima. Nella missiva, intitolata “In morte di un’amica”, sono contenuti particolari che fin dall’epoca fecero ipotizzare a molti, primo fra tutti il padre di Lidia, Giorgio Macchi, che l’autore e il killer dovessero essere la stessa persona.
Alla vista di quelle righe risalenti a oltre 28 anni prima, una donna che in passato aveva frequentato Stefano Binda e da lui aveva ricevuto biglietti e lettere, non ha avuto dubbi: «La scrittura è la stessa». Subito la donna ha contattato la polizia e, dopo le prime verifiche, i riscontri hanno cominciato a diventare sempre più numerosi, fino alla certezza della perizia calligrafica: l’autore della lettera è Stefano Binda. Da qui alla clamorosa svolta di un’inchiesta durata oltre 29 anni: l’arresto del quarantasettenne di Brebbia. In casa del quale gli inquirenti avrebbero trovato il quaderno utilizzato (con il segno del foglio strappato) per scrivere la lettera. Binda, comunque, al momento dell’arresto, avrebbe negato ogni addebito.
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