Milano 17 Gennaio – Pare che Matteo Renzi voglia rottamare anche alcune parole della politica del passato. E chiamare “ristrutturazione” ciò che un tempo sarebbe stato indicato come “rimpasto” di governo. Ma quale che sia il suo nome ciò che il Presidente del Consiglio si accinge a realizzare è semplicemente il riempimento delle caselle mancanti della compagine governativa. Una operazione che prevede la scelta di sei personaggi destinati a prendere i posti lasciati liberi nel corso dell’anno passato da chi, per motivi diversi, ha deciso di uscire dall’Esecutivo.
Ma la rottamazione del lessico non comporta la rottamazione dei metodi. Per cui nessuno pensa di rimproverare il Premier se cercherà di utilizzare la “ristrutturazione” come facevano con i “rimpasti” i vecchi Presidenti del Consiglio della Prima e della Seconda Repubblica. C’è da consolidare il rapporto con Angelino Alfano, soprattutto alla vigilia della difficile partita sulle unioni civili. C’è da cercare di allargare le crepe esistenti tra la minoranza del Partito Democratico. Per cui tutti danno per scontato che i sei nomi in questione verranno scelti tra quelli del Nuovo Centrodestra e tra quelli dei più dialoganti e meno irriducibili degli antirenziani.
L’operazione servirà a completare le caselle governative, ma non è affatto detto che riesca a rinforzare la coalizione di governo. Perché potrà pure soddisfare le ambizioni di chi verrà scelto come viceministro o sottosegretario, ma non è affatto detto che tranquillizzerà il partito del ministro dell’Interno o gelerà gli spiriti più bollenti della minoranza del Pd.
Al contrario, privilegiare gli amici più stretti di Alfano e premiare gli anti-rienziani meno riottosi avrà come unico risultato quello di accentuare le spaccature all’interno del Nuovo Centrodestra, dove gli esclusi dalle prebende governative troveranno nuovi argomenti per contestare Alfano. E radicalizzare ancora di più la posizione dei renziani irriducibili, sicuramente irritati per l’evidente tentativo del Premier di indebolirli usando l’arma della distribuzione delle poltrone.
Renzi, naturalmente, sa bene che l’operazione serve a poco o a nulla. Perché, con premio o senza premio, Alfano è condannato a rimanere aggrappato al carro governativo. E la minoranza Dem rimarrà tale ed irriducibile anche perdendo qualche pezzetto marginale. Ma andrà avanti lo stesso. Si può chiamare anche “ritrutturazione” ma il fascino del “rimpasto” rimane sempre alto! Farlo è un segno di potere!
Arturo Diaconale (L’Opinione)
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