La fuga dalle banche: ecco la top ten dei migliori fondi da investire

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Milano 20 Gennaio – Le gestioni patrimoniali hanno sempre avuto un rapporto di amore-odio con i risparmiatori italiani. Di questi tempo però sono tornate ad esser di gran moda perché fanno parte di quegli investimenti che non possono essere toccati in caso in cui le banche finiscano a gambe all’ aria (il famigerato bail-in). Ma quali sono le differenze tra un fondo e una gestione patrimoniale, due strumenti apparentemente così simili? Il primo è un paniere di investimenti (azioni, obbligazioni, altri fondi ecc) a cui un investitore può accedere comprandone una fetta. La seconda è formata da un portafoglio ad hoc gestito autonomamente dal gestore e realizzato – almeno sulla carta – per far fronte alle esigenze del singolo risparmiatore.

Esistono due tipologie di gestione patrimoniale: la gestione patrimoniale mobiliare, spesso abbreviata come Gpm, il cui patrimonio viene investito in strumenti finanziari “classici” (azioni, obbligazioni…) e la gestione patrimoniale in fondi o sicav (Gpf o Gps) il cui patrimonio viene investito in quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (fondi comuni, sicav o etf ecc. ecc.).
Attenzione però, una gestione patrimoniale coi fiocchi è quella in cui il gestore conosce a fondo il cliente. «Deve fondarsi sulla conoscenza delle caratteristiche dell’ investitore attraverso i dati raccolti con il questionario Mifid. Una sorta di analisi del cliente, della sua tolleranza al rischio a cui la società di investimento associa una serie di portafogli che siano appropriati a queste caratteristiche», spiega Gabriele Roghi, responsabile della consulenza agli investimenti di Invest Banca. Il prezzo per tutto questo? Nel caso di una gestione patrimoniale, di solito il gestore chiede una commissione che varia dall’ 1 al 3%, un po’ di più di un fondo comune che costa circa da 0,50 al 2,5%. A questo si aggiungono eventuali commissioni di performance (che possono raggiungere anche il 20%) che si pagano quando si supera una certa soglia di rendimento più alcuni piccoli oneri legati alla banca depositaria (20-30 euro a trimestre, oltre i 50mila euro sono circa dello 0,20%). Oltre all’ immancabile iva sulle commissioni, il 22%, che però può essere dedotta dalle tasse sul capital gain. Stando ai dati di Diaman Scf, società di consulenza finanziaria, i principali gestori stanno puntando ad acquistare i titoli azionari e obbligazionari solo per i mercati domestici affidandosi ad etf e fondi per i mercati più di nicchia o difficili da raggiungere.

«Il mio consiglio per il 2016 è quello di diversificare gli stili di gestione», spiega Daniele Bernardi amministratore unico di Daman Scf, «perché sarà un anno difficile e pieno di incertezze, quindi meglio affidarsi a soluzioni innovative e non legate a dei benchmark di riferimento, ma che lascino libero il gestore di ottenere il risultato migliore per il cliente».

Ho letto con molto interesse un articolo pubblicato nei giorni scorsi su “Il Sole 24 Ore” a firma Morya Longo dal quale emergevano i rischi legati all’ aumento del debito mondiale.

I dati hanno confermato la tesi che sostengo da anni e cioè che il debito è ormai cresciuto tanto da non essere più sostenibile. Soprattutto se l’ inflazione non riparte. Il discorso vale in particolare per l’ Italia che nonostante gli sforzi e i sacrifici non riesce a fermare il debito che ormai ha superato i 2.200 miliardi pari al 135% del Pil.

Il fenomeno è diventato planetario. Otto anni dopo la più grave crisi del Dopoguerra, il mondo ha cumulato un debito complessivo pubblico e privato di tre volte superiore al valore del Pil globale. I governi non sono stati certo a guardare visto che il debito pubblico è salito a 58mila miliardi (+9,3% annuo dal 2007).

A spingere la leva finanziaria sono state le politiche monetarie espansive e i tassi tendenti a zero con cui le Banche centrali hanno evitato il crash finanziario.

Una cura fatta di iniezioni massicce di liquidità che hanno sorretto il mondo sul ciglio del burrone tra il 2008 e il 2009, ma che hanno avuto come effetto collaterale di spingere famiglie, imprese e governi a indebitarsi sempre di più. Il denarto a basso costo ha favorito il ricorso ai prestiti.

Un circolo che ha permesso alle economie mondiali di non collassare, ma che ha in sé i germi della follia finanziaria. Una montagna di denaro che andrà restituito. È proprio qui il punto chiave per il futuro. Scampato il crac, le economie si sono riprese, ma a un passo di marcia assai più lento di prima. Un mondo che cresce piano rispetto al passato ma che ha più debiti di prima, dato che il fardello si è triplicato.

Francamente non riesco a immaginare una soluzione a questo problema. Anzi temo il peggio. Per far ripartire l’ economia servirebbe una forte ripresa dei consumi e un innalzamento dell’ inflazione. Nessuna delle due ipotesi, però, appare a portata di mano. La domanda globale è in calo tanto che il Fmi ha rivisto al ribasso dal 3,2% al 2,9% le previsioni di crescita e l’ inflazione non riparte.

I massicci stimoli monetari si sono trasmessi solo parzialmente al sistema produttivo. Un po’ perché le banche commerciali hanno utilizzato il denaro a basso prezzo ottenuto dalle banche centrali, per irrobustire i bilanci. Un po’ perché le imprese hanno ridotto gli investimenti non avendo chiara visibilità sul futuro.

Gianluca Baldini (Liberoquotidiano)

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