Milano 24 Gennaio – Dei tanti paradossi italiani ce ne è uno che è particolarmente grave perché tocca da vicino i giovani e il lavoro: il nostro Paese, a novembre scorso (ultimo dato ufficiale dell’Istat), ha fatto registrare un tasso di disoccupazione degli under 25 del 38,1 per cento. Un numero elevatissimo, che sta iniziando a diminuire, ma che potrebbe scendere molto più velocemente se si considera che, ancora nel 2015, le imprese non sono riuscite a trovare sul mercato circa 60mila profili tecnici da assumere. Un peccato mortale, soprattutto adesso che si intravedono i primi segnali di ripartenza e il settore produttivo ha bisogno di manodopera specializzata per uscire dalla crisi.
Al danno (già di per sé cospicuo) si aggiunge addirittura la beffa: il dato che ci anticipa AlmaDiploma evidenzia che a un anno dal titolo il 44% dei diplomati tecnici lavora, con punte del 48,7% tra i geometri e del 46,6% tra i periti industriali. Eppure, come in un incomprensibile dialogo tra sordi, le iscrizioni a questa importantissima filiera di istruzione secondaria non sfondano e restano intorno al 32% sul totali delle scuole superiori (si pensi che nel 1990 erano il 46% delle iscrizioni complessive).
Più volte su questo giornale ex ministri come Luigi Berlinguer e Mariastella Gelmini, esperti e, da ultimo – in ordine di tempo -, una rigorosa ricerca condotta dalle associazioni TreeLLLe Fondazione Rocca su come innovare l’istruzione tecnica in Italia, chiedono più attenzione al settore. Un primo passo in questa direzione è la possibilità, dallo scorso settembre, di poter svolgere obbligatoriamente esperienze di alternanza con il lavoro. «È questo un passaggio di grande rilevanza compiuto in Italia – sottolinea Ivan Lo Bello, vice presidente di Confindustria per l’Education e numero uno di Unioncamere -. È una vera rivoluzione che ci mette al passo con i sistemi europei e che riconosce finalmente al lavoro e soprattutto all’impresa il loro ruolo educativo». In quest’ottica le opportunità che offre la filiera tecnico-professionalizzante sono concrete: il 20% dei contratti offerti chi si diploma negli istituti tecnici è di natura stabile, con al top, al 26,4%, i periti industriali. Ecco perché, aggiunge Lo Bello, «è necessario che i ragazzi, che fino al 22 febbraio dovranno scegliere il proprio percorso formativo, siano consapevoli che la strada che con maggior probabilità aprirà loro un futuro passa attraverso l’acquisizione di competenze tecniche di cui le imprese italiane hanno particolarmente bisogno».
A fronte di queste prospettive è ancora più urgente un maggior investimento sugli istituti tecnici, che faticano a scrollarsi di dosso l’etichetta ingenerosa di scuole di “serie B”. La riforma del 2008, nonostante i buoni propositi, non è riuscita a decollare: «Le norme e l’apparato burocratico rendono difficoltoso attuare autonomia e flessibilità – spiega Giorgio Allulli, esperto di politiche formative -. Si sono poi ridotte le ore laboratoriali, e in genere la componente specialistica della didattica, mentre nel primo biennio c’è un eccessivo carico di discipline. Ed è del tutto mancata la formazione degli insegnanti».
Anche il ministero dell’Istruzione è consapevole della necessità di fare un check up a queste scuole: «Apriremo una riflessione – risponde Carmela Palumbo, dg per gli Ordinamenti scolastici e la valutazione del Miur -. Non c’è dubbio che le materie nel primo biennio sono troppe, e c’è bisogno di introdurre realmente, attraverso la flessibilità curriculare, più insegnamenti pratici e laboratoriali. L’alternanza con il lavoro è già una realtà da quest’anno, grazie alla legge 107».
Del resto tra istituti tecnici e imprese un legame già c’è nei territori: Confindustria ha radunato nel Club dei 15 i migliori istituti che collaborano da anni con le aziende soprattutto al Centro Nord. Ma anche in Umbria, Puglia, Campania e Calabria esistono realtà di eccellenza che formano periti esperti. Pure i presidi sono convinti che l’intera filiera vada supportata di più: «La necessità di rivalutare la cultura e l’istruzione tecnica è fondamentale – afferma Mauro Borsarini, dirigente dell’Archimede di San Giovanni Persiceto (Bo) – anche perché valorizza competenze specialistiche e trasversali sempre più ricercate dalle aziende».
Claudio Tucci (Il Sole 24 Ore)
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