Milano 27 Gennaio – Nelle prime ore di ieri la Polizia di Stato ha portato a termine un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un 42enne chirurgo plastico ed di un 40enne titolare di una ditta di autodemolizioni di Desio (Monza e Brianza). I due sono accusati di associazione mafiosa.
Il chirurgo plastico, Arturo Sgrò, è dirigente medico presso l’ospedale milanese di Niguarda ed è stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa in quanto considerato appartenente alla “locale” di ‘ndrangheta di Desio (Mb), che fa riferimento alla famiglia Iamonte-Moscato di Melito Porto Salvo (Rc). Insieme al professionista e con le stesse accuse, è finito in manette anche Ignazio Marrone, titolare della ditta di autodemolizioni, ‘Recuperi e autodemolizioni srl’.
Dalle indagini è emerso il quadro di due figure pienamente inserite nel contesto ‘ndranghetista lombardo, con contatti ai vertici. I due arrestati avrebbero riscosso crediti per conto di alcuni sodali detenuti, provvedendo inoltre al loro sostentamento e a quello delle loro famiglie.
Lo Sgrò risultava una figura molto autorevole, non solo per il suo curriculum (un borsa di ricerca in Chirurgia Maxillo-facciale e Chirurgia malformativa del viso presso l’Università di Messina e esperienze professionali all’estero), ma anche come appartenente ad una famiglia già nota: Giuseppe e Salvatore Sgrò, suoi parenti, sono stati arrestati nell’operazione Infinito, che ha smatellato i vertici della ‘ndrangheta in Lombardia.
Secondo le accuse, il chirurgo plastico, arrivato dalla Calabria a Milano nel 2012, si sarebbe avvalso della propria professione di medico per informare ed assistere esponenti della ‘ndrangheta. Agiva sempre con molta prudenza. Qualche volta avrebbe anche seguito gli affari della cosca incontrando qualcuno in ospedale, oppure sotto un cavalcavia o nell’officina di Marrone, vero teatro delle loro attività. In alcuni casi sono stati utilizzati dei “classici metodi mafiosi” ai danni dei creditori, come quella volta in cui una delle ‘vittime’ venne rinchiusa nel capannone per costringerla a versare la somma dovuta.
Le telefonate spesso erano in codice. Sgrò utilizzava termini come “ricette o referti medici”, mentre Marrone preferiva termini come “gomme o ricambi”. Quest’ultimo è poi indagato anche per ricettazione, detenzione illegale di armi comuni da sparo e da guerra ( una Beretta clandestina e una Mauser) e relative munizioni, reati aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa. Marrone, che è di origine siciliana, sarebbe stato autorizzato dal clan a risolvere i contrasti tra affiliati della ‘ndrangheta calabrese e Cosa Nostra, sostenendo un compito di mediazione ritenuto fondamentale.
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