Milano 5 Febbraio – Julian Assange non va arrestato, dicono dalle parti dell’Onu. Lo sostiene un gruppo di lavoro che, se tutto va bene, contiene al suo interno i rappresentati di numerosi paesi che dal lavoro di Assange hanno tratto profitto. In ogni caso, lui non andrà da nessuna parte. È bloccato da tre anni nell’ambasciata Equadoriana a Londra, e risulta dubbio la potrà lasciare a breve. Al momento contro di lui pendono due generi di accuse. In Svezia è accusato di due stupri (un’imputazione minore si è prescritta l’anno scorso), e di questa non ci interessa e non ci occuperemo. Anche se posso capire l’astio delle due donne. Poi c’è il piccolo scandalo, una cosa da niente, in cui Assange, in nome di una presunta libertà stampa ha regalato al mondo, e nel mondo, vorrei ricordarlo, ci sono anche un tot di terroristi, una quintalata di dati sensibili, misti a notizie più o meno rilevanti, ricevute da un analista di sistemi, oggi transgender. Manning. Che ora è ospite delle patrie galere Usa. Tutta questa storia inizia nel 2007, ma raggiunge l’apice del successo nel biennio 2010-2011. Ad oggi è ignoto il numero di vittime correlato a quei file. È ignoto anche l’impatto sulla diplomazia mondiale. Quello che è del tutto noto è la rottura di un confine vitale, quello tra libertà dell’individuo e sicurezza di intere popolazioni. Viviamo in un mondo strano, dove per proteggere l’Uccello Padulo siamo più che disponibili a rovinare imprese, processi produttive e migliaia di vite. Ma per difendere uno Stato no, là non è lecito impedire ad un informatico Australiano di speculare sul lavoro di contro spionaggio dei paesi nemici dell’America. E, ci vuole ogni tanto ricordarlo, rovinare la diplomazia Usa fa male anche a noi. Quindi, nel momento in cui dagli Usa si sono levate delle più che legittime richieste di abbattere il grande ciambellano dei nemici del paese, chi conosce un minimo di diritto delle genti non si è scandalizzato. Il resto del mondo, invece, impietosito da una narrazione a tratti paradossale, si è profuso in lacrime infinite per la storia del poveretto perseguitato dal grande impero del male. Balle buone per ogni stagione, ma stavolta hanno intenerito i cuori. Anche di personaggi insospettabile, come Ron Paul, ex Senatore Americano e voce del mondo Libertario. La sua argomentazione è particolarmente interessante e per qualche tempo aveva convinto anche me. Postulava il politico Americano che la spia facesse sapere le notizie al nemico. Assange le aveva rivelate al popolo. Quindi il nemico del Governo Usa è il popolo.
La risposta è abbastanza immediata. No, le ha rivelate ai nemici dell’America sfruttando il popolo come scusa e veicolo. È quindi un abile sfruttatore mediatico, non un patriota difensore della libertà di parola. Soprattutto, quello che non è, prima e soprattutto, è un martire. Egli non testimonia nulla. È un imprenditore che sta giocando con il rischio della vita dei suoi concittadini. E se devo pensare a cosa sia un militante ed un idealista non mi viene in mente questo. Tant’è vero che al contrario di Manning non si è fatto processare per dare la sua versione. Si è nascosto all’ombra di quell’asse che non dovrebbe aver mai servito.
Inoltre, e qui chiudo, ci sono molti modi per nascondere, distorcere ed alterare. Uno di questi, da sempre è il sovraccarico informativo. In dieci milioni di pagine un sacco di dettagli si possono perdere. Di sicuro ne è vittima il contesto. Inoltre i giornali hanno trovato quello che qualche manina interessata ha sottolineato. Insomma, Assange non è una vittima. Qui, le uniche vittime accertate, sono due donne a cui viene sottratto il diritto di un equo processo.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,