Milano 9 Febbraio – Si era presentato quale “rottamatore”: un uomo di rottura che avrebbe fatto le riforme. E in qualche circostanza aveva anche lasciato intendere di voler muoversi verso uno stile di governo più responsabile e liberale, e quindi capace di liberalizzare e privatizzare, tenere sotto controllo i conti, eliminare gli sprechi, far funzionare meglio l’apparato. Tutto questo al fine di favorire crescita e rilancio.
Quello slancio è finito quasi subito. Le leggi sul lavoro hanno risposto solo in parte alle attese della nostra economia, né si è proceduto a privatizzare e liberalizzare: come si capisce prestando attenzione a quanto è successo a proposito di Rai, Poste e Ferrovie. Ma il fallimento più grave si è avuto nell’incapacità di ridurre le uscite.
E così Matteo Renzi oggi mostra la corda, condannato dai numeri. La sua novità politica è ormai assai logorata, se si considera che nel 2015 l’Italia ha avuto una crescita inferiore all’1% e che le stesse stime per il 2016 (mai esaltanti) stanno per essere ulteriormente ridimensionate: prima si parlava di un misero +1,4%, ora si è scesi all’1,3% e al dunque è facile prevedere che il risultato potrebbe essere perfino più modesto. Ma i numeri più inquietanti sono quelli che riguardano deficit e debito.
L’indebitamente pubblico, in effetti, non è mai stato tanto alto, superando di il 130% del Pil. Questo perché il deficit continua a essere assai elevato e anche nel 2016 si prevede che sarà del 2,4%. Con questi dati, che parlano di una spesa pubblica quasi incomprimibile, è sostanzialmente impossibile che ci si possa attendere una vera crescita. E in effetti le previsioni non sono rosee.
La battaglia che il premier sta conducendo a Bruxelles in nome della “flessibilità” è la prova provata che ogni proposito riformatore è stato smentito. Quando un democristiano di antica data entra in conflitto con la Merkel e con Juncker per ridimensionare quel vincolo esterno consistente nell’obbligo di tenere in ordine i conti, questo significa che a furia di licenziare gli uomini delle spending reviewalla fine si è costretti a sbattere la faccia contro la dura legge dei numeri. E questo potrebbe essere solo l’inizio.
Fino a oggi, in effetti, l’ex-sindaco di Firenze si è trovato a operare entro un quadro complessivo esterno in qualche modo favorevole: con uno spread assai basso e ingenti finanziamenti della Bce alle banche chiamate ad acquistare i titoli di Stato. Se però lo scenario dovesse mutare – e in molti già vedono i primi segnali di un quadro complessivo molto deteriorato – le previsioni dovrebbero essere riviste ancor più al ribasso.
Anche in questo la parabola di Renzi pare assai simile a quella di Silvio Berlusconi. Dopo avere annunciato una rivoluzione liberale, il Cav si è mostrato incapace di sfruttare i bassi tassi d’interesse sul debito assicurati dall’euro e ha perfino ripetutamente affidato la gestione dell’economia al colbertiano Tremonti. Allo stesso modo, prima Renzi si è rappresentato come un fattore di discontinuità rispetto alle politiche basate su tasse, spese e debiti, salvo poi dare in mano le scelte economiche a Padoan, schierandosi a difesa dell’esistente.
Ora che – dopo anni di espansione monetaria keynesiana su entrambi i lati dell’Atlantico – il tornado finanziario sembra davvero essere in arrivo (e infatti le borse sono ormai salite sulle montagne russe…), è davvero difficile essere ottimisti. Se tra poco ricorderemo con nostalgia la crisi del 2008 e saremo costretti a fare i conti con un dissesto assai peggiore, il giovin signore di Firenze non potrà reggere a lungo. I signori della Troika saranno costretti a predisporre la loro valigetta e cercare casa a Roma. E nella politica italiana potrebbero aprirsi scenari del tutto nuovi.
Carlo Lottieri (L’Intraprendente)
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