Milano 13 Febbraio – Il ragazzo studia, si applica, ma continua ad andare malissimo alle interrogazioni. E abbisogna di ripetizioni urgenti di economia, per non beccarsi un votaccio in pagella e venire bocciato. In un compito a casa consegnato ai “maestri” di Repubblica, l’alunno Matteo Renzi continua a sostenere che l’unico modo per tagliare le tasse in Italia sia aumentare il deficit, accrescendo il buco del bilancio pubblico. A proposito, il ragazzo, per fare il brillante, cita pure «il Regno Unito di Cameron che ha finanziato il taglio delle tasse portando il deficit al 5%».
Ora, un buon maestro – dubitiamo lo siano quelli di Repubblica – dovrebbe ricordare a Renzi che la vera ragione della ripresa britannica è il taglio netto alla spesa pubblica, con una riduzione drastica dei soldi destinati al welfare di 12 miliardi di sterline (circa 17 miliardi di euro) e della spesa improduttiva di 20 miliardi di sterline (28,7 miliardi di euro) solo per quest’anno. Una misura che ha consentito al governo inglese di diminuire notevolmente le tasse, portando il carico fiscale complessivo a circa il 34,5% (da noi è al 44%) e addirittura al 20% per ciò che riguarda le imprese (in Italia è oltre il doppio). Non solo: la ponderosa spending review di Cameron ha consentito di creare nuovi posti di lavoro (facendo crollare la disoccupazione al 5,6%) e di aumentare le paghe medie dei lavoratori (dalle 6,50 sterline all’ora alle 7,20). Tutto ciò si riassume nel motto del ministro delle Finanze inglese George Osborne: «High wages, low tax, lower welfare», ossia «Stipendi più alti, tasse basse, spesa pubblica ancora più bassa». Se poi, per finanziare queste misure, il governo inglese ha anche potuto contare su una certa flessibilità nel deficit (ma senza aumentarlo come sostiene Renzi, anzi: rispetto al 2010, quando il deficit britannico era al 10,2%, si è dimezzato e oggi è a circa il 5%), è perché non c’era alcun regolamento a impedirglielo: a differenza di altri Paesi, come l’Italia, la Gran Bretagna non ha mai sottoscritto quel trattato soffocante chiamato “fiscal compact” che impone di tenere il rapporto deficit/Pil sotto il tetto del 3%, pena sanzioni, commissariamenti e ire furibonde della Troika europea. Anche grazie a quella mancata firma, oggi il Regno Unito gode di un’autonomia nella politica economica non garantita ad alcun altro Paese europeo strozzato dal patto.
Chiarito questo, bisognerebbe aggiungere che, al contrario di Cameron, Renzi finanzia la (presunta) crescita dell’Italia tutta in deficit: con la scusa degli investimenti, della necessità di accogliere i migranti e di garantire la sicurezza con fondi alle forze dell’ordine, il premier ha via via spostato l’asticella del deficit italiano dall’1,6% richiesto da Bruxelles per il 2016, al 2,4% e poi ancora al 2,5%. Uno sforamento di un punto rispetto alle aspettative che gli vale, di conseguenza, un bel 2,5 in pagella.
Anche perché a questa crescita continua del deficit (mascherata dall’esigenza di crescita) non è corrisposto affatto un taglio della spesa pubblica improduttiva. Tutt’altro: rispetto alle promesse di fare spending review per 10 miliardi nell’ultima manovra, si è arrivati alla fine al contentino di 5,5 miliardi ottenuti attraverso tagli lineari qua e là. Nessun vero piano di vendita del patrimonio demaniale o di riduzione degli sprechi delle amministrazioni pubbliche (che Il Sole 24 Ore ha calcolato in almeno 23 miliardi), la cui messa in atto non comporterebbe peraltro alcuna riduzione dei servizi ai cittadini.
Ma forse allo studente Renzi devono aver strappato le pagine centrali del manuale di economia, dove si spiega come si fa a risanare il bilancio di uno Stato e insieme a rilanciare la crescita. O forse, lui ha preferito saltare quelle pagine a piè pari, credendo (da saputello qual è) di poter andare all’interrogazione anche impreparato. Ma il trucco è stato scoperto e la grave insufficienza non gliela leva nessuno
Gianluca Veneziani (L’Intraprendente)
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