Milano 13 Febbraio – A Padova una scuola materna tra sette giorni diventerà il rifugio di dodici donne, aspiranti rifugiate, impegnate in un lungo pellegrinaggio da quando, otto mesi fa, tutte le donne furono allontanate dal principale campo della città. Il motivo era la prostituzione dilagante. Dopo una tappa in provincia le donne tornano in città. Questa scuola materna la conosco bene. Ci sono cresciuto. È nella mia parrocchia. È uno dei luoghi dell’anima. È stata chiusa anni fa, le suore che la gestivano non avevano alcun interesse a proseguire l’esperienza. I bambini c’erano, i genitori erano disposti a pagare di più. Si è deciso che quella esperienza non era rilevante per le sorelle. Giovedì sera, le stesse consorelle, hanno avvisato la comunità Parrocchiale che in sette giorni, senza possibilità di negoziazione, le dodici donne (sarebbero dovute essere otto) arriveranno. E tanti saluti, madama la marchesa. Loro sono padrone a casa loro. Noi non abbiamo potere di interferire. Se non le accogliamo e non ci integriamo siamo brutta gente. Divertente, non trovate? Chi ci condanna è chi si rifiuta di sentirsi parte di una comunità. In ogni caso, è incontestabile. È casa loro. La comunità si organizzerà per resistere come potrà. Quello che ci interessa qui, è altro. È il gesto simbolico, atroce, irrimediabile di chi ha venduto la nostra innocenza per trenta denari. Ironicamente, trenta denari era il costo di uno schiavo. Oggi il futuro di una piccola comunità (il quartiere cui afferisce questo complesso è di circa tremila persone) viene scambiato con un sistema disumano che blocca in Italia donne che in Italia non ci vogliono stare e che nemmeno hanno titolo per stare. Inoltre da questo le Suore (quelle di Padova, almeno), non trarranno alcun vantaggio economico. I soldi andranno interamente alla cooperativa, fatto salvo un forfait per le spese. La cooperativa, peraltro, prima di questa nuova ed interessantissima opportunità economica organizzava viaggi. Sono certo fossero assolutamente preparati, ci mancherebbe. Ma questo tocco naive non può non farci considerare un grande panorama. Qui non c’è nessun piano complesso all’opera. Non c’è una preparazione. Non c’è una cabina di regia. Ci sono un’ex agenzia viaggi, delle Suore con più buona volontà che competenze, più ideologia che amore, più pregiudizio che buon senso, c’è una comunità tradita ed un grande vuoto. Il vuoto lasciato da un asilo. Riempito da un albergo per transitanti. Con nessuna voglia di radici. E tanta, tanta ipocrisia.
Si cerca integrazione, rifiutando di considerare i bisogni dell’altro. Si cerca di risolvere un’emergenza, l’immigrazione di massa dall’Africa, creandone decine sul territorio. Si fa avviamento al lavoro a delle donne che, per legge, non possono lavorare. Si fa fare ginnastica a donne che, si suppone, scappino dalla fame. Si danno 35 euro al giorno a persona, quando i costi di mantenimento sono meno della metà. Oh, sia chiaro, per tutti meno che per la cooperativa che gestisce queste donne. Loro vanno quasi in perdita. Per questo ricorreranno a dei volontari. Sia mai che debbano pagare tutti tutti. Si cerca di dar stabilità, ma i dettagli sono ancora nebulosi a pochissimi giorni dall’arrivo. Si chiede dialogo, ma si nega l’apertura allo stesso. Questa, questa più di ogni altra cosa è l’essenza dell’ipocrisia. Pretendere dal prossimo ciò che noi ci rifiutiamo di fare.
Questa è l’essenza. Chiudiamo il nostro futuro per diventare ostello del futuro altrui. Terra di passaggio. Terra vuota. In attesa che altri la riempiano. Seduti, in attesa. Sull’orlo del Mondo in attesa che l’ora più buia passi, e noi con essa.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,