Milano 14 Febbraio – Esiste un duplice filo rosso che lega la crescente turbolenza dei mercati nelle varie regioni del mondo: l’incertezza in aumento sulle prospettive dell’economia mondiale e la difficoltà di assemblare una risposta sistemica a livello internazionale.
Il motore della crescita di questi anni – i Brics che hanno contribuito per oltre la metà dell’espansione dell’attività mondiale con la Cina, da sola, responsabile per circa un terzo – si sta fermando. Il Pil di Brasile e Russia è in caduta e l’economia cinese sta significativamente rallentando. Quest’ultima è nel mezzo di una fase di transizione verso un modello sospinto dal settore dei servizi più che da quello manifatturiero, trainato dai consumi più che dagli investimenti. Tuttavia, i dati disponibili mostrano che la dinamica di questa transizione è alquanto incerta e potrebbe risultare in un sentiero di crescita ben al di sotto di recenti previsioni.
In effetti, il contributo del settore manifatturiero all’espansione dell’economia di Pechino si è progressivamente assottigliato dai circa 5 punti percentuali di crescita del Pil di dieci anni fa sino ad annullarsi negli ultimi dati relativi al 2015; in contrasto, quello del settore dei servizi si è accresciuto, riflettendo, però, il maggior peso del settore immobiliare e dell’intermediazione finanziaria. Eppure, sono proprio questi i settori che ora si vanno ridimensionando, sgonfiandosi le bolle speculative.
Per quanto concerne la dinamica di consumi e investimenti, i primi hanno acquisito negli anni scorsi un sempre maggior peso ma i dati di contabilità nazionale non sono aggiornati. Guardando, invece, alla dinamica delle vendite al dettaglio che negli anni passati rappresentavano, in media, una parte cospicua dei consumi totali, nel 2015 la loro crescita è rallentata a meno dell’11 per cento, circa la metà del valore registrato, per esempio, nel 2008, e attestandosi su un livello che non si vedeva dal 2003. Nel complesso, questi elementi sembrano validare la sostanziale incertezza attorno alla transizione del gigante cinese e alla sua capacità di mantenere su livelli elevati e stabili l’espansione della sua economia.
Sempre tra le economie emergenti, l’India rappresenta, invece, un potenziale elemento di novità. Nell’ultimo esercizio previsionale del Fmi rilasciato lo scorso mese, la crescita per l’economia indiana veniva confermata al 7,5 per cento sia per l’anno in corso che per il 2016. Eppure, inserendo questi dati nella prospettiva più ampia dell’economia mondiale, il loro impatto è meno significativo di quanto appare poiché l’India non è integrata con il resto dell’economia globale come la Cina. In altre parole, nonostante le indubbie potenzialità, il gigante indiano non rappresenta un’alternativa, almeno nel breve termine, al motore cinese. Per esempio, la dimensione dell’interscambio commerciale tra Germania e India è solo pari all’11 per cento di quella con la Cina, e sale al 20 nel caso dell’Italia. Nel complesso, le importazioni indiane dall’Eurozona sono state di circa 28 miliardi di euro nel 2014, circa un quinto dell’equivalente dato cinese.
Se le economie emergenti vanno, nell’insieme, rallentando, l’economia americana continua a mostrare tutta la fragilità della sua ripresa: secondo una survey del «Wall Street Journal» rilasciata l’11 febbraio, gli economisti americani intervistati temono i contraccolpi del deteriorato quadro dell’economia mondiale, raddoppiando, rispetto a un anno fa, la probabilità di una recessione nei prossimi 12 mesi.
È in questo contesto che si inaugura fra due settimane il G20 dei ministri delle finanze e governatori di banche centrali sotto la presidenza cinese. Nel 2008, l’allora presidente americano George Bush non esitò a convocare, sul filo di lana del termine della sua presidenza, i leader del G20 avviando una risposta sistemica che si concretizzò in tutta la sua efficacia nei mesi successivi.
A distanza di otto anni, quel momento, oggi, sembra ancora più lontano: le banche centrali hanno quasi esaurito la potenza del loro arsenale. Il crescente numero di banche centrali che hanno portato i rispettivi tassi di intervento in territorio negativo, tra cui la Bce, lo conferma. D’altro canto, la semplice adozione di politiche fiscali espansive potrebbe accentuare le preoccupazioni dei mercati nei confronti della montagna di un debito pubblico che, nel complesso, si è significativamente accresciuto dalla crisi. Eppure, esistono importanti spazi, tuttora inesplorati, per attuare grandi progetti di investimenti, soprattutto infrastrutturali, che possano aumentare la connettività e la produttività dell’economia mondiale, su cui la presidenza cinese sta lavorando. Per l’Italia, il G20 a guida cinese offre un’opportunità importante per traslare a livello mondiale e in modo costruttivo l’insoddisfazione per il quadro asfittico delle politiche economiche europee e utilizzarlo in chiave dialettica a Bruxelles come a Berlino.
Domenico Lombardi (Il Sole 24 Ore)
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