Milano 16 Febbraio – Sushi batte cotoletta. Strano ma vero? No. Che la tipica cucina milanese stia perdendo qualche colpo proprio sotto la Madonnina non è una novità. È tempo di gastronomia globale, di contaminazioni. In passato l’esotismo meneghino era rappresentato dai ristoranti cinesi: apripista era stata la comunità insediatasi nella zona che gravita attorno a via Paolo Sarpi. Dalla Cina in avanti, l’etnico ha via via guadagnato terreno. Con l’Expo, la tendenza global ha subito un’accelerazione portando alla ribalta numerose cucine di altri mondi. Il sushi, dunque. Basti dire che in 9 zone su 16 di Milano è fra i 3 piatti più facili da trovare. La certificazione del suo successo si evince da una indagine condotta da Zomato, app di ricerca presente in 23 Paesi, sbarcata di recente in Italia.
A Milano Zomato (gruppo indiano) ha acquisito «Cibando», start up fondata dal giovane Guk Kim (l’anagrafica è coreana ma il ventisettenne è italiano), che ora ricopre il ruolo di country manager. Il dossier sulla ristorazione milanese riguarda soprattutto i prezzi medi dei pasti e le relative differenze in 16 aree cittadine comprese nella circonvallazione esterna. Una sorta di radiografia che, tuttavia, mette in evidenza anche i tipi di cucina, in modo da orientare il consumatore nella scelta. In un anno sono stati mappati circa 9 mila locali; 1.200 sono quelli presi in considerazione, dopo aver esaminato i loro menù aggiornati. Diversi identikit: dal ristorante stellato, alla trattoria, al bistrot, al bar-caffetteria che offre cibo. Cifre? Dalla ricerca si apprende che la forbice della spesa media per una cena in due a Milano va dai 75 euro in zona Duomo-San Babila ai 36 di Chinatown. Il calcolo è stato fatto valutando i prezzi di 2 antipasti medi, 2 piatti principali, 1 dessert (da dividere) e 2 bevande analcoliche. Vini esclusi, insomma. A pranzo, si è puntato sui business lunch.
Le 16 zone: Bocconi, Brera, Buenos Aires, Chinatown, Duomo, Garibaldi, Isola, Missori-Colonne, Moscova, Navigli, Porta Romana, Porta Venezia, San Babila, Sempione, Ticinese, Washington. A parità di genere di locale, di sicuro la differenza di prezzo per il cliente si gioca molto sulle spese di affitto che il patron deve sostenere. «È una voce che incide non poco – conferma Pippo Ciccarelli, titolare di Sciuscià, risto-pizzeria in via Procaccini (Chinatown) -. Da poco ho aperto un altro Sciuscià in via Moscova (Brera); va da sé che ciò che spendo in affitto non è paragonabile». Ciò detto, per favorire la clientela costruita in 5 anni di lavoro a Chinatown, Ciccarelli ha deciso di non alzare i prezzi, nella zona più cara. «Poiché i locali sono simili per stile e offerta, preferisco mantenere lo stesso trattamento, a costo di guadagnare di meno», spiega. Secondo la ricerca, la differenza più significativa riguardante la cena tocca Chinatown e Duomo-San Babila: da 36 euro a 100 euro, con un incremento superiore al cento per cento. Il prezzo medio per l’intero campione si attesta attorno ai 56 euro. Il divario è decisamente più contenuto se invece si considera il pranzo: soltanto San Babila/Duomo e (a sorpresa) Garibaldi superano i 30 euro. La media cittadina è di 23 euro.
Anche i dati sulle tipologie di offerta culinaria sono interessanti. Quali le più diffuse? Nelle zone più turistiche (Duomo, San Babila, Navigli) va ancora forte la cucina lombarda e in generale la cucina italiana. Ma questo è il momento d’oro del Giappone (che mette in ombra la Cina). Dai locali di base ai giapponesi di livello alto (Iyo in via Piero della Francesca ha 1 stella Michelin), il sushi (e varianti) sta spopolando. Ancora: fra le proposte culinarie piuttosto omologate a Milano, emergono due caratterizzazioni: nel quartiere Isola spiccano i ristoranti salutisti, mentre Buenos Aires è il fulcro della cucina etnica del centro.
Marisa Fumagalli (Corriere)
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