di Claudio Bernieri
foto di Orazio Di Mauro
Milano 16 Febbraio – Franco D’Alfonso, l’assessore arancione al Commercio, Attività produttive, Turismo, Marketing territoriale, Servizi Civici di Milano è ora il primo assessore alle Chincaglierie Cinesi. Gongola nei primi piani delle foto nella festa strapaesana di via Paoli Sarpi, e sembra, nelle immagini, un intellettuale francese engagé anni 60 tra le bancarelle di Saigon. D’Alfonso è passato alle cronache politiche per l’affaire del Gelato Negato e per il Chiosco delle Fate e delle Sirenette. Lui, laureato in Giurisprudenza alla Statale, Master in Business Administration conseguito alla Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi. Un curriculum di tutto rispetto.
Un dotto commis di stato caduto sul Ghiacciolo. Per calmierare la movida selvaggia e i suoi schiamazzi, due anni fa il manager bocconiano D’Alfonso aveva pensato di vietare dopo le 10 di sera lo smercio dei gelati che, come tutti sanno, non si gustano accanto a concerti di bonghi e tra le urla dei tossici disperati.
Bravo, 7 più. Il suo decreto anti movida selvaggia decadde nel ridicolo.
Eccolo poi il Bocconiano cadere dal ponte delle Sirenette, al Sempione: davanti alle Colonne di san Lorenzo, ora ridotte a un suk di spacciatori nigeriani, il Maestro voleva posizionare un baracchino dedito alla vendita di alcolici, tolto dai vialetti del parco Sempione, vicino al laghetto e al celebre ponte romantico. Tale baracchino in lamiera intralciava il posizionamento della pubblicità per l’Expo. Dove metterlo? L’assessore con lungimiranza lo posizionò davanti all’entrata della cappella di sant’Aquilino, celebre per i suoi mosaici romani.
Rivolta popolare. Il baracchino in lamiera è sempre lì davanti a San Lorenzo, ma chiuso. Per posizionarlo, il comune ha abbattuto due alberi secolari. Nessuno tra i verdi-arancioni ha protestato.
E rieccolo, ora, il pensatore del Sorbetto Arcobaleno e del tiramisù notturno: stavolta assieme all’Arrigoni, il trinariciuto presidente della Zona 1 e alla nomenclatura mandarina che vorrebbe inondare la Madunina di stoffe, pellame, vestiti, jeans, scarpe, moto e biciclette clonati provenienti da Shangai e Pechino, manufatti degli schiavi operai evangelizzati dal Mao Tse Tung. Veloci come i treni dell’Oriente Express, i coolies sciamano ogni giorno in via Paolo Sarpi con carrelli, pacchi, camioncini, tir, tricicli, bici porta tutto, risciò, arrembando i marciapiedi e l’ isola pedonale. Coolies che sognano una deportazione in massa dei residenti milanesi, magari a Lacchiarella o a Binasco, per lasciare ai nipotini di Mao i negozietti zeppi di ciarpame.
Formichine laboriosissime che hanno recentemente portato al successo il comandero Sala, che grazie al voto dei coolies ha vinto le primarie del Pd. Un evidente ed eloquente voto di scambio sotto gli occhi dei residenti meneghini nel laboratorio Milano: io do un voto per te, e tu chiudi un occhio sulla zona a traffico pedonale e sulle rigide regole di carico si scarico. Affare fatto.
Trattasi di un esperimento, quello dei Vu votà cinesi, che potrebbe essere pagante se esportato in altri quartieri: in viale Padova, promettendo (da parte del Pd) cento moschee alla Fratellanza Musulmana, alla Darsena, alle colonne di san Lorenzo e sui Navigli, dove la mafia nigeriana e senegalese spaccia droga e non vuole avere intoppi dai residenti imbestialiti. Nei marciapiedi di tutta Milano, dove i pakistani vendono altra cianfrusaglia.
Per non parlare dei vu votà rom, maghrebini e sudamericani: questi ultimi già immortalati nei banchetti pro Sala per le primarie.
Sala lo ha già detto: con me i migranti non saranno chiamati più così. Traduzione in arancionese: saranno chiamati vu votà.
La festa del capodanno cinese con l’inizio dell’anno della Scimmia ha ora sancito la riuscita dell’esperimento , e doverosamente i pasdaran di Sala, tra cui primeggia il colto assessore alle Chincaglierie e ai Gelati d’Alfonso, hanno voluto raccogliere gli osanna e le benedizioni taoiste.
Migliaia di “vu votà” erano pronti ad acclamare il “cinese” Beppe Sala: che non s’è invece visto tra i festoni di Chinatown, dove al posto di qualche Madonna pellegrina, svettavano i rossi e gialli dragoni dei commercianti all’ingrosso della paccottiglia made in Cina.
Ma il tosto assessore bocconiano D’Alfonso era lì, pronto a promettere un milione di mirabilia per implementare il commercio cantonese: che neanche il povero casciaball Marco Polo avrebbe mai immaginato.