Milano 19 Febbraio – A Dicembre due attentatori Islamici hanno compiuto una strage a San Bernardino. Erano molto integrati. E dipendevano, come molti di noi, dalla tecnologia. Entrare nel loro Iphone aiuterebbe l’FBI a tracciare i movimenti, i contatti e le relazioni dei due terroristi. Questo lo ha stabilito una corte Usa, che ha quindi ordinato alla Apple di indebolire il suo sistema di criptazione. In sostanza si chiede che, diversamente da come avviene, dopo dieci tentativi la memoria non si cancelli e che tra un tentativo e l’altro non vi sia un intervallo superiore a quello richiesto al computer per riprovare. Si chiede, in sostanza, di indebolire la serratura. Poi l’FBI la farà saltare. La Apple si oppone, invocando la privacy dei propri milioni di utenti. Chi scrive non ritiene che, giuridicamente, le motivazioni di Cupertino abbiano un fondamento.
- La criptazione è vitale per proteggere gli smartphone dai malintenzionati. Cerchiamo di capirci. Criptare significa proteggere. Vuol dire che chi non abbia la chiave di criptaggio non entra. Il problema è che chi cripta, quella chiave può ricavarla. Averla significa aprire una porta di servizio non sorvegliata nel vostro telefonino. Ed è esattamente quello che il Tribunale non vuole. Qui si chiede solo di togliere due barriere. E sì, se quel programma venisse fisicamente installato su altri telefonini e poi questi venissero sottoposti ad un hackeraggio la sicurezza se ne andrebbe a quel paese. Ma secondo questa logica nessun albergo dovrebbe avere un passepartout. Che invece esiste. Obietterebbe Apple che, in quel caso, c’è un accordo tra impresa e cliente che lo consente. Ma qui cadiamo nel secondo punto.
- Gli accordi tra Apple e cliente è superiore all’esigenza di sicurezza di un’intera nazione? Lo stabilirà un tribunale, ma un contratto crea obblighi e vincoli solo tra le parti, mai nei confronti di tutti. Ovvero erga omnes. È la base. La base del diritto, almeno. Quindi Apple non vi si può nascondere dietro, altrimenti sarebbe sua facoltà scegliere quali informazioni dare e quali nascondere agli investigatori.
- Inoltre, la domanda fondamentale è: il programma che verrebbe creato, sarebbe in grado di violare la privacy di tutti gli utenti? no. In primis non viola la privacy di alcuno, al massimo indebolisce le difese. Secondo non deve necessariamente essere replicabile. Anzi, NON deve esserlo. Ma se venisse duplicato? Se venisse rubato? Se applicassimo questo ragionamento con coerenza a tutti gli ambiti della vita umana non dovremmo
nemmeno poter accendere il fuoco. Rischieremmo di morire bruciati.
- Quello che ci si deve domandare è se, in questo caso, il rischio della privacy ed il vantaggio di sicurezza si bilancino. Apple, nonostante ciò che ami pensare, non controlla l’intero mercato. Gli altri produttori non adottano le stesse protezioni. I loro clienti non subiscono continuamente furti digitali. Ne subiscono, forse, ma di certo questa possibilità non altera la loro vita. In sostanza questo appello alla privacy ha tanto l’aria di un nuovo diritto, o super diritto, che dovrebbe consentire a chi paga di essere al riparo dalla legge. Visto che chi non paga e prende un altro apparecchio questa protezione non ce l’ha.
Il braccio di ferro non so come finirà. Ma la situazione è ciclica. Le grandi compagnie sono concorrenti allo Stato e tendono ad odiarlo. Per motivi, in verità, di concorrenza più che di opposizione ideologica. Vedremo cosa diranno le corti superiori, ma, anche in questo caso, la netta sensazione che Apple non voglia gente che si faccia i fatti propri in casa sua è davvero fortissima. Molto più della speranza che stia difendendo i nostri diritti.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.