Milano 21 Febbraio – Nel mar Egeo ne sono morti 340, di minorenni, dal settembre scorso ad oggi. Molti erano addirittura neonati. Tentavano di raggiungere le coste europee attraversando il tratto del Mediterraneo orientale fra la Turchia e la Grecia. Ma non ce l’hanno fatta. Due decessi al giorno negli ultimi cinque mesi. Un dramma umano di dimensioni colossali.
Lo hanno comunicato ieri, da Ginevra, l’Unicef, l’Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni, e l’Unhcr, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che denunciano l’aumento del numero di infanti, bambini e ragazzini che in quelle acque hanno lasciato le loro speranze. Già nel 2015, nel Mediterraneo, i bambini morti erano stati 700. Fra loro anche il piccolo Aylan Kurdi, il cui corpicino riservo sulla sabbia, senza vita, ha fatto commuovere il mondo intero. Anthony Lake, direttore esecutivo dell’Unicef, ha affermato che «gli Stati possono e devono cooperare nello sforzo di rendere questi pericolosi viaggi più sicuri», perché «nessuno metterebbe un bambino su una barca se fosse disponibile un’alternativa più sicura». Accorate le parole di Filippo Grandi, Alto commissario dell’Onu per i rifugiati: «Queste tragiche morti nel Mediterraneo sono insopportabili e devono finire. C’è bisogno di maggiori sforzi per combattere il traffico di persone». Per Grandi, «dato che molti dei bambini e degli adulti che hanno perso la vita stavano cercando di ricongiungersi con parenti in Europa«, è indispensabile «promuovere soluzioni che consentano alle persone di spostarsi in modo legale e sicuro, ad esempio attraverso programmi di reinsediamento e ricongiungimento familiare. È un’assoluta priorità, se vogliamo ridurre il numero delle morti».
Intanto, proprio ieri, alcune navi della Nato sono arrivate nell’Egeo per iniziare a monitorare la rotta dei migranti tra Turchia e Grecia, contrastare le reti dei trafficanti e svolgere ricognizioni di routine, monitoraggio e attività di sorveglianza. Durante le prime sei settimane del 2016, dicono le organizzazioni internazionali, ben 410 delle 80mila persone che hanno attraversato il Mediterraneo orientale, sono annegate. E solo pochi giorni fa, il 2 febbraio, l’Oim ha comunicato che nel mese di gennaio i morti nel Mediterraneo sono stati 368. Di questi, 272 hanno perso la vita proprio nell’Egeo e sessanta erano bambini. I numeri diffusi non sono una sorpresa. Quasi ogni settimana, infatti, si registrano tragedie. L’8 febbraio, ad esempio, il mondo ha assistito a un doppio dramma nelle stesse «acque assassine»: prima 24 vittime, tra cui undici bambini, a causa del naufragio di un barcone diretto all’isola greca di Lesbo e capovoltosi nella baia turca di Edremit; poi altri 11 morti al largo della Turchia, a nord di Smirne. Il 29 gennaio scorso ancora lutti e ancora minorenni morti. Un’imbarcazione partita dalla provincia turca di Canakkale e diretta in Grecia si è rovesciata nell’Egeo, portandosi via la vita di dieci persone, cinque delle quali bambini. Oltre 40, provenienti da Siria, Afghanistan e Birmania, sono state tratte in salvo. Il giorno prima altri 9 bambini, quattro femmine e cinque maschi, sono annegati al largo dell’isola greca di Samos. Il 22 gennaio ancora 20 piccoli disperati hanno perso la vita a causa del naufragio di due barconi avvenuto al largo dell’isola di greca di Kalolimnos. E in Siria, la terra da dove si scappa per raggiungere l’Europa, è in corso «una vera strage degli innocenti», come ha affermato ieri il nunzio apostolico a Damasco, monsignor Mario Zenari. «Su 300mila morti – ha spiegato – oltre 10mila sono bambini, senza parlare di quei bimbi che muoiono annegati o rimangono sotto le macerie dopo un bombardamento».
Luca Rocca (Il Tempo)
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