Libia. La politica ha già fallito, gli eserciti falliranno: «Allora dividiamo il paese in tre»

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Milano 26 Febbraio – Si allontana la possibilità di trovare una soluzione pacifica e diplomatica per la Libia e si fa strada con più forza l’ipotesi militare. Mentre il Parlamento di Tobruk continua a traccheggiare sul riconoscimento del governo di unità nazionale, l’esercito del generale Haftar avanza a Bengasi contro gli islamisti, e mentre l’Isis attacca Sabratha, Stati Uniti, Italia e Francia si interrogano su come mettere una toppa militare «discreta» all’avanzata jihadista.

GUERRA DI BENGASI. Ieri il Parlamento riconosciuto dalla comunità internazionale con sede a Tobruk (l’altro controllato dagli islamisti si trova a Tripoli), ha rinviato ancora alla settimana prossima il riconoscimento del governo di unità nazionale (che non comanda niente e nessuno) nato grazie alla mediazione dell’Onu, allontanando la possibilità di un accordo politico. Nel frattempo l’esercito di Tobruk guidato dal generale Khalifa Haftar, che sta chiedendo invano da mesi di essere nominato ministro nel nuovo governo, ha conquistato due aree chiave della città di Bengasi, in parte occupata da milizie islamiste alleate di Tripoli. Il tentativo di Haftar è quello di guadagnare così tanto territorio da rendere impossibile una sua esclusione politica.

ISIS SI RAFFORZA. Se un accordo tra i due governi si allontana, con il conseguente fallimento della strategia delle Nazioni Unite, lo Stato islamico ne approfitta. Questa mattina ha assunto per alcune ore il controllo del quartier generale della sicurezza di Sabratha, uccidendo 19 guardie e decapitandone 12. La città occidentale è molto importante, dal momento che funge da centro di smistamento per i migranti in fuga verso l’Europa. Dopo tre ore, i combattenti dell’Isis sono stati respinti dai militari che controllano la città ma la minaccia jihadista è sempre più pericolosa.

DRONI USA DALL’ITALIA. Anche per questo lo scorso fine settimana gli americani hanno condotto dei raid uccidendo decine di jihadisti (ma anche due cittadini serbi rapiti un anno fa) e la Francia, secondo quanto riporta Le Monde, «sta effettuando» da tempo operazioni clandestine per rendere l’avanzata dell’Isis più complessa. Ora l’Italia, come rivelato ieri dal Wall Street Journal, ha dato il via libera alle missioni armate dei Reaper americani in partenza dalla base siciliana di Sigonella e il premier Matteo Renzi ha assicurato che i droni ancora non sono stati armati, i raid potranno essere utilizzati solo per missioni di difesa e l’autorizzazione sarà data caso per caso.

L’AMERICA SI RITIRA. Per quanto riguarda un intervento di terra, nessuno sembra essere davvero disposto a schierare le truppe, come spiega al Corriere della Sera dall’ex capo di Stato maggiore della difesa Vincenzo Camporini: «Se vogliamo che tutte le fazioni della Libia si uniscano contro l’invasore, basta mandare i nostri soldati al di là del Mediterraneo. Escludo un futuro intervento massiccio degli americani, faranno solo interventi con piccoli reparti di forze speciali accompagnati da attacchi chirurgici scagliati da aerei e da navi».
Per il generale, è questa la nuova dottrina americana: «Si ritirano dallo scenario internazionale», non verranno fatte più «operazioni in grande» come in passato. «Obama ha incarnato lo spirito di chi dice: i problemi degli altri non sono affare nostro». Questo «significa che i paesi europei se la devono vedere da soli. Se intorno ai loro confini sono in atto delle crisi, si organizzino e se le risolvano per proprio conto».

DIVIDERE LA LIBIA. Ma se il piano dell’Onu fallisce, che altra soluzione c’è per contrastare l’Isis e per pacificare la Libia al di là di un disastroso intervento militare di terra? «La soluzione migliore per la Libia sarebbe la divisione del territorio in tre parti», continua Camporini. «Si potrebbe ripristinare la situazione esistente prima dell’intervento di Rodolfo Graziani, durante il fascismo. Graziani unificò, oggi converrebbe dividere: la Cirenaica, la Tripolitania e la zona meridionale, dove le tribù sono armate le une contro le altre». Infatti, «sul piano strategico non vale la pena inseguire il miraggio di un governo unitario. Troppi ostacoli, troppe fazioni da mettere d’accordo. Meglio lasciar perdere. Ma ammesso che si riuscisse a creare un governo, sarebbe sempre una soluzione precaria, un patto scritto sulla sabbia. Perché di sicuro qualche gruppo non accetterebbe gli accordi. Di conseguenza il controllo del paese sarebbe limitato».

Leoni Grotti (Tempi)

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