Milano 2 Marzo – L’articolo di Stefano Morri è tratto dal numero di Tempi in edicola
Renzi ha una responsabilità: poco coraggio nel tagliare la spesa pubblica. In un paese in cui il pubblico occupa la gran parte della scena economica, con un insopportabile carico di inefficienze non sanabili, c’è solo un modo per migliorare: affamare la bestia. Ebbene, su questo fronte Renzi ha fatto poco o nulla. Ed è qui che egli perde credibilità. I suoi appelli alla flessibilità sul palcoscenico europeo finiscono per essere intesi come un modo per guadagnare spazio per la perpetuazione di una spesa pubblica improduttiva e insostenibile. Ma Renzi sconta, a sua giustificazione, la natura della sua base politica, quel Pd che è il partito del tassa e spendi.
Detto questo, la situazione economica è difficilissima. Partiamo dal calo demografico. Il crollo delle nascite e il drammatico rovesciamento della piramide generazionale toglie spinta all’economia. Un popolo di anziani non si rassegna al pensiero di dover continuare a lottare fino a tarda età per garantirsi una vita dignitosa e per mantenere famiglie dalle quali i figli non possono emanciparsi. Non è un caso che una politica monetaria aggressiva come quella messa in atto dalla Bce non stia portando alcun risultato in termini di stimolo all’economia e di crescita dei prezzi. La gente non consuma, le imprese investono poco, la deflazione, che sta all’economia come l’ipotermia al corpo umano, è ormai un fenomeno consolidato. Le società europee, alla faccia della teoria neo malthusiana del Club di Roma, hanno bisogno di crescere in numero di abitanti. E il gesto della Merkel, accogliere un milione di siriani in fuga, è frutto di un calcolo demografico più che di un gesto umanitario.
Secondo problema: il debito pubblico. L’appartenenza all’euro e la sleale politica di avanzi commerciali tedesca fanno sì che il debito non sia aggredibile con la leva della svalutazione monetaria. Le uniche strade sono la crescita o il rigore. Del rigore, in una legislatura di sinistra, non se ne parla neppure. Della crescita ho detto. La demografia non lascia scampo.
Quadro disperato? Beh, per tanti giovani che scappano, sì. La politica dovrebbe però guidare verso il cambiamento positivo. In che modo? Primo, riformando se stessa sul piano istituzionale, in modo da assicurare una reale leadership.
Secondo, avviando una campagna a favore della crescita demografica. Campagna prima culturale e poi di politiche sociali a sostegno delle famiglie che fanno figli. E campagna anche fatta di una immigrazione controllata e selettiva.
Terzo, riducendo l’imposta sulle società al 15 per cento e abolendo la selva di agevolazioni ed esenzioni che hanno reso il sistema tributario un groviera. Ciò servirà da stimolo potente per l’investimento dall’estero e per l’impresa italiana.
Quarto, facendo funzionare i tribunali civili e penali. Il tema della giustizia è centrale nella decisione sugli investimenti e l’Italia è vergognosamente in basso nella classifica internazionale.
Quinto, migliorando drammaticamente il sistema d’istruzione. Le giovani generazioni, così esigue, devono almeno essere delle élite tecniche e culturali in grado di compensare la loro scarsità numerica e governare gli immigrati.
Sesto, tagliando la spesa pubblica in modo graduale e costante e costringendo i dipendenti pubblici a lavorare come i privati.
Settimo, lavorando sulla cultura della burocrazia italiana con scuole di formazione che creino nuove leve di funzionari attenti ai bisogni dei cittadini e favorendo l’assunzione di elementi che vengano da regioni finora poco rappresentate dai quadri burocratici.
Ottavo, combattendo con misure di prevenzione corruzione e sprechi negli appalti pubblici, vitali per aggiornare il paese e favorire lo sviluppo economico.
Sono misure alla portata della politica, ma richiedono una guida illuminata, coesa e capace di farsi rispettare. Renzi ci sta provando, ma sconta la fragilità della politica e la resistenza dei ceti che vedono nel cambiamento la messa in discussione della loro posizione. Deve lottare nella giusta direzione. Dopo di lui solo due cose: o il caos o un commissario europeo.
Milano Post
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845