Milano 6 Marzo – La Libia sarà il nuovo Afghanistan. Un eventuale intervento militare potrebbe spalancare all’Occidente le porte di un inferno che in quei luoghi è già in corso. Tra i rischi evidenziati con più forza dalle intelligence europee che sono sul posto, c’è quello definito come “effetto rebound”, un’ondata di radicalismo jihadista, portata dal Daesh negli Stati coinvolti nell’operazione internazionale, Italia in primis vista la vicinanza alle coste libiche.
Un escalation di attentati terroristici in tutta Europa, quindi, e la guerra sarebbe l’ultima cosa da fare, soprattutto per il nostro Paese che, però, sarebbe già pronto a intervenire anche su pressione degli Stati Uniti che ci chiedeno 5 mila uomini in campo e la guida dell’azione internazionale. Forse un’idea chiara su quello che l’Italia andrà a fare in Libia ancora non esiste. Il governo ragiona sulle ipotesi che potrebbero anche prevedere un primo “nucleo di valutazione” sul campo, formato da poche unità. Corpi speciali come Col Moschin, Combusin e Goi (che ha partecipato alla gran parte delle operazioni “fuori area” di quest’ultimo dopoguerra) per una prima ricognizione e qualche intervento di “bonifica”. Poi, dopo, ci sarebbe una necessaria e ulteriore analisi sulla situazione da parte dei governi che compongono la coalizione per decidere quanti militari inviare sul terreno.
L’azione delle Forze speciali viene normalmente integrata e potenziata da quella di alcune unità di supporto operativo, tra cui il 26esimo Reparto elicotteri per operazioni speciali dell’Esercito, il 4° Reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” e l’11esimo Reggimento trasmissioni, tutt’oggi impegnati fianco a fianco degli incursori in Afghanistan.
Una decisione politica che, per quanto riguarda il nostro paese, ha aspetti complicati da gestire. La situazione sul campo, infatti, è difficile da decodificare. La Libia, al momento, è la terra dell’anarchia. Un vespaio di interessi, personali e tribali, dove non si comprende la posizione delle milizie collegate ai due governi, tra cui anche quelle armate, molte delle quali non ufficiali.
L’intervento militare occidentale, inoltre, espone gli impianti energetici italiani al rischio sicurezza. Tra i compiti dei reparti speciali, infatti, ci sarebbe anche la protezione delle nostre aziende che al momento sarebbero una cinquantina con circa 100-150 connazionali. «Un intervento italiano in Libia che vada al di là della copertura aerea contro l’Isis avrà sicuramente degli effetti negativi sulle attività d’impresa italiane nel Paese. I libici non vedono assolutamente di buon occhio un’azione di questo tipo. I nostri interessi nel Paese sarebbero a rischio, si potrebbe rinfrescare la vicenda del passato coloniale che ad oggi è sopita», ha detto Gianfranco Damiano, presidente della Camera di commercio Italo-libica, che poi ha descritto la situazione a Tripoli: «Si lavora a ritmo più ridotto, si sta più attenti, non si esce la sera, ma sostanzialmente non c’è grande allarme. La situazione è diversa a Bengasi dove ancora ci sono scontri». (Il Tempo)
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