In Libia come in Egitto, presi a schiaffi da tutti

Approfondimenti Esteri

Milano 8 Marzo – Certo che non contiamo veramente nulla. Ogni volta che un nostro concittadino viene rapito, muore o viene liberato in terra straniera, le autorità del luogo si sentono legittimate a fornirci versioni diversissime e inverosimili sulle circostanze dei fatti, sapendo di poterselo permettere, sapendo di avere a che fare con un Paese diplomaticamente e politicamente debolissimo (oltreché militarmente remissivo).

È l’amara considerazione che viene da fare, ancora una volta, all’indomani della liberazione di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno in Libia, e della morte dei loro colleghi Fausto Piano e Salvatore Failla. Sulla dinamica dei fatti, per cui due nostri tecnici sono stati uccisi e gli altri due sono sopravvissuti, le autorità libiche hanno già fornito almeno due versioni differenti, come riferisce Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera: la prima è che sarebbero stati liberati dopo aspri scontri a fuoco, la seconda è che sarebbero scappati da soli dalla prigionia. Non si capisce però neppure se Calcagno e Pollicardo fossero insieme a Piano e Failla nel momento del conflitto a fuoco, o siano stati ritrovati e liberati dopo, in seguito a un altro scontro a fuoco (finito con un esito migliore rispetto all’altro) oppure in seguito a una ricerca pacifica (e questa è la terza versione fornita dalle milizie vicine al governo di Tripoli). Su tutti questi interrogativi si brancola nel buio. E non solo il cittadino e il lettore italiano non ha risposte certe, e come loro i familiari degli ostaggi, ma neppure lo stesso governo italiano. Che viene puntualmente sbertucciato con versioni fasulle o con racconti di comodo giusto per guadagnare tempo, mentre si scopre (ed è questa l’unica dolorosa certezza) che forze militari e di intelligence italiane non erano affatto presenti nel teatro degli scontri e l’unico ruolo che avrebbe avuto il nostro Paese sarebbe stato quello di provare a pagare un riscatto milionario. Insomma l’Italia non c’era in Libia, avrebbe provato a comprarsi la liberazione degli ostaggi (non riuscendoci, se non a metà) e ora viene presa in giro dalle autorità locali, con versioni contrastanti.

L’ennesima figuraccia internazionale che fa seguito alla vicenda del povero Giulio Regeni sulla cui morte il nostro governo è riuscito a collezionare ben cinque versioni diverse da parte delle autorità egiziane, dal movente di criminalità comune alla vendetta personale, fino alla morte lenta in seguito a percosse e all’incidente stradale (sic!), senza ottenere un briciolo di verità né sulle cause né sulle circostanze né sui responsabili. Anche qui buio fitto. E tutto questo mentre il ministro degli Esteri Gentiloni, fingendo un’autorevolezza che non ha, annunciava che “non ci accontenteremo di verità di comodo e di piste improbabili”; il ministro della Difesa Pinotti addirittura chiedeva “all’Egitto un’azione molto approfondita e sincera”; e Renzi, travestendosi da leader di ferro, tuonava che “non accetteremo una verità artificiale e raccogliticcia”. Roba che in Egitto avranno tremato dalla paura…

In realtà su entrambe le circostanze, sul perché Regeni sia stato ucciso, e sul come Pollicardo e Calcagno siano stati liberati, rischia di calare una coltre di silenzio che si farà sempre più fitta col passare del tempo (altroché veritas filia temporis). Una volta si parlava di segreti di Stato, adesso invece ci troviamo di fronte a segreti di cui lo stesso Stato, il nostro, pare essere ignaro; perché le azioni fatte per liberare gli italiani vengono fatte a sua insaputa, perché le circostanze in cui gli italiani vengono rapiti restano per sempre misteriose; e perché, in entrambi i casi, le versioni offerte dagli altri Paesi per giustificare e spiegare l’accaduto sono vaghe, contrastanti e mai corrispondenti al vero.

Sanno che possono prenderci per i fondelli perché sanno che, a partire da Renzi, Pinotti e Gentiloni, non contiamo un… fico secco.

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Gianluca Veneziani (L’Intraprendente)

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