Milano 11 Marzo – Tra tanti falchi, colombe, avvoltoi con Ala o senza, che affollano il Paese e il Parlamento, stai a vedere che alla fine avevano ragione i gufi, quelli che – sul far del tramonto, come la nottola di Minerva di cui parlava Hegel – riescono a comprendere meglio di altri l’indirizzo della situazione storica. Perché, checché ne dica il premier Renzi, i gufi non preannunciano o pregustano sventure, non prevedono scenari drammatici, ma si limitano cogliere il senso di quello che è stato e a trarne le conseguenze.
Se è per questo, è un gufo molto lungimirante l’Istat che oggi, prendendo atto della crescita debolissima nel 2015, prospetta per il primo trimestre del 2016 una ripresa al lumicino pari a circa lo 0,1%, con valori che rischiano di oscillare tra il +0,3% e il -0,1%: come dire, ecco la stagione del #menozerovirgola dopo quella, già poco trionfale, dello #zerovirgola. E meno male che, come da narrazione renziana, il 2016 doveva consacrare definitivamente la ripresa dopo un paio d’anni di convalescenza, doveva essere il tempo della volta e della svolta buona, del vento che cambia, dell’Italia che cresce e altre menate varie. E invece, ancora secondo le previsioni Istat – che non legge la palla di vetro, ma si basa su parametri economico-scientifici come domanda estera, consumi pubblici (entrambi in ribasso) e investimenti (fermi al palo) – la crescita acquisita a fine anno dovrebbe limitarsi a un +0,4%, ancora peggio rispetto al 2015, quando si è fermata allo 0,6, e sicuramente molto peggio rispetto alle rosee previsioni renziane, che parlavano di un +1,6%.
Intanto, dagli scranni europei, continuano a gracchiare i “gufi” di Bruxelles che, in una lettera di avvertimento inviata oggi all’Italia dalla Commissione, ci ricordano che l’Italia soffre di “squilibri macroeconomici eccessivi, di debito pubblico alto, di debole dinamica della competitività, di lacune speciali sulle privatizzazioni, la spending review, le misure per la concorrenza, la tassazione, il contrasto alla corruzione” e chi più ne ha più ne metta. Un quadro che più fosco non si può, che ci vale l’inserimento tra i cinque Paesi con la maglia nera per gli “squilibri macroeconomici eccessivi” (in bella compagnia, insieme a Francia, Portogallo, Croazia e Bulgaria”) e ci fa guadagnare la minaccia di “una procedura d’infrazione che può scattare in qualsiasi momento”.
Il problema è che, al netto dell’antipatia che possono suscitare gli euroburocrati gufi di Bruxelles, la Commissione parla sulla base di dati, non di teoremi. Nel 2016 il nostro debito pubblico resterà infatti gigantesco, maggiore di tutti gli altri grandi Stati europei (132,4% in rapporto al Pil, praticamente invariato rispetto allo scorso anno); stessa sorte anche per il deficit che, nella migliore delle ipotesi, resterà al -2,5%. Uno scenario che indurrà quasi inevitabilmente il nostro governo a prendere quello che la Commissione chiama gentilmente “un piano di misure entro il 15 aprile”. Tradotto, significa una manovrina bis di almeno tre miliardi, che non si sa davvero dove l’Italia possa andare a pescare (basteranno la vendita di immobili pubblici e le risorse provenienti dal rientro dei capitali all’estero? Ne dubitiamo). Lo spettro di nuove accise o di tagli lineari e indiscriminati volteggia inquietante.
Insomma, queste cifre – esplicitate con buona pace di Renzi né da profeti di sventure né da aùguriche colgono il futuro studiando il volo degli uccelli – dimostrano impietose che l’Italia ha le ali spezzate e non può né volare né fischiettare lieta per l’arrivo della primavera. Saranno pure gufi, ma ci vedono lungo, meglio delle aquile.
Gianluca Veneziani (L’Intraprendente)
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