Milano 11 Marzo – Via Colletta ed il suo palazzo della morte li abbiamo raccontati spesso. A lungo. E con dovizia di particolari. Via Antegnati pare sia cinque volte più grande con un degrado che va di pari passo. E’ sempre la stessa storia. Qualcuno inizia a costruire. Va a gambe all’aria. Finiscono i soldi. Iniziano i contenziosi. Si scoprono problemi. Succedono cose. Se ne vanno persone. Non per forza gli eventi vanno in quest’ordine, ma alla fine il risultato è univoco. Lo scheletro rimane, la zona comincia ad attirare sbandati. All’interno si inaugura la legge della Jungla. Fuori i prezzi degli immobili continuano ad essere troppo alti. Le case sfitte aumentano. Insomma, la solita dinamica. Questo fa credere a molte persone, anche in buona fede, che la soluzione sia vietare di costruire. È, forse, la soluzione peggiore possibile. Soprattutto perchè se ne frega delle premesse, che sono la vera piaga di questa nazione. Intanto, quando qualcuno deve costruire, e questo vale per qualsiasi cosa, oltre ai costi vivi ed alle tasse sui costi vivi, ci sono altri due costi, uno più odioso dell’altro. Il primo è il costo di gestione della pratica. Ovvero lo Stato ti impone di assumere un professionista, o di allargare il gruppo di professionisti, solo e soltanto per vederti riconosciuto un diritto che già hai. Non che dovresti avere. Non che ti verrà concesso, per bontà del sovrano. Ma che hai. Che è insito nel possedere del terreno. Che hai pagato. Su cui hai pagato tasse. Il secondo sono, siano sempre stramaledetti, gli oneri di urbanizzazione. Un taglieggiamento discrezionale che dovrebbe, in teoria, coprire le strade e le fogne, ma finisce per inglobare tutti gli argomenti di campagna elettorale dei corpi elettivi intermedi. Zone, Comuni, comitati di Zona, comitati Comunali, ecologisti, amici, parenti, benefattori e chiunque possa spremere il costruttore. Io ho partecipato a delle commissioni urbanistiche. Ho visto ciò di cui parlo. Aveva ragione Churchill, alcuni vedono le imprese come tigri feroci, altre come vacche da mungere, pochi le vedono come ciò che sono realmente: un robusto cavallo che traina un peso gravoso. Questi due presupposti, uniti al tempo che tutti i passaggi comportano, rendono la costruzione rischiosissima. Sia per il committente che per il costruttore. Il rischio, durante i periodi di crisi porta al fallimento. Il fallimento porta ai tempi della giustizia civile. Un fallimento a sua volta, verrebbe da dire. E qui si apre la voragine. Il danno prodotto dallo Stato viene scaricato su un privato solo di facciata. Vuoto. Appesantito da debiti che non ha alcuna reale possibilità di pagare.
Ed entra nella sfera pubblica creando degrado. Di fatto il diritto di proprietà che dovrebbe vigilare sul bene è stato abbandonato. Anche in ottica liberale, quindi, è dato allo Stato, o alla comunità se volete, chiedere e pretendere che il diritto sia esercitato o sostituirsi al proprietario nel farlo. La proprietà va chiusa. Quindi o si incaricano di difendere dalle intrusioni lo stabile, lo tengono immune dal degrado e difendono ciò che è loro, o cedono oneri ed onori alla comunità. Che può anche decidere di abbatterlo. Parentesi. Sia chiaro che la difesa dalle intrusioni non è solo un obbligo del privato. Non devo minare il mio giardino per stare sicuro. È la polizia che deve sgomberare. Quanto scrivo vale solo per situazioni dove l’incuria peggiore, amplifica financo crea il problema. Tipo in via Colletta, con un proprietario fallito. O in via Antegnati, con un proprietario assente.
In sostanza, prima di vietare di esercitare dei sacrosanti diritti, eliminiamo le barriere e facciamo rispettare il diritto di proprietà a tutti. Ai vagabondi impedendo di entrare. Ai proprietari impedendo di trasformare la loro proprietà in rifugio estemporaneo di vagabondi.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.