Dieci anni di progresso rubati

Approfondimenti

Milano 13 Marzo – Venerdì sera ho avuto il piacere di presentare il libro di Giuseppe Mele, Digital Renzakt, sui fallimenti del digitale in Italia. È stata una serata estremamente interessante, soprattutto perché il mondo del lavoro di fronte alla sfida del digitale mostra tutte le infinite debolezze che il nostro sistema patisce. Due interventi, in particolare, mi hanno colpito.

Il primo è quello del professor Rangone, già Osservatorio Digitale del Politecnico di Milano, oggi in aspettativa dalla docenza ed impegnato nell’impresa Digital 360. In particolare, nel panorama sconsolante dei fallimenti di Stato nella digitalizzazione del Paese, ci ha dato due prospettive complementari. La prima è che, in effetti, non è andato tutto così male. Qualcosa è stato fatto. Non è del tutto infondato dire che, qualcosina si sia visto, soprattutto possiamo guardare al futuro con fiducia dopo la nomina di Samaritani all’Agenda Digitale. Il secondo è un dito nella piaga, cioè che il privato, in effetti, è forse messo peggio. Raccontava il professore di un imprenditore Brianzolo, 15 milioni di fatturato all’anno, che lui aveva visitato nei primi anni duemila. All’epoca le aziende già dovevano avere, per poter funzionare, di un ICT manager, ovvero un responsabile delle infrastrutture della comunicazione. Computer, modem e cose del genere. Ecco, questa impresa non ce l’aveva. Quando, stupito, ha chiesto perché, gli è stato risposto che anche se aveva centinaia di computer, aveva anche centinaia di sedie e di certo non aveva un responsabile delle sedie. Ovvero, il computer è una sedia, per quanto elaborata. Questo apre alcuni grandi interrogativi sul perché digitalizzare un paese che non ne sente alcun bisogno.

Il secondo è stato quello del direttore del Giornale Off. Un attacco forte e ben motivato alla politica come classe dirigente. La Triennale di Milano, quest’anno, ritorna a fare quello che dovrebbe fare. Dopo decenni. La Triennale ritorna a casa. Un evento di portata nazionale, si potrebbe in certo senso, dire mondiale. Ecco, all’evento di presenta l’assessore competente. Non Pisapia. No, l’Assessore si scusa dicendo che il Sindaco ha altro da fare. Cos’altro è ignoto. E difficilmente immaginabile. Ma il peggio non ha un fondo. L’assessore si riscusa. Lui se ne deve andare subito dopo. Sollevando l’interessante dubbio in parte del pubblico che, fosse sparito dall’Universo, in quell’istante, probabilmente nessuno in quella sala lo avrebbe notato. Ed in quella sala c’era la creme del settore artistico e del design. Questo illumina il grande problema della classe dirigente. La ricerca, fine a se stessa, del consenso. Un consenso in mano a gente che non ha alcun interesse, alcuna preparazione ed alcuna aspirazione oltre al consenso fine a se stesso.

Va da sé che le due caratteristiche spieghino, perfettamente, la situazione generale del Paese. Viviamo in un contesto in cui alla gente le soluzioni non interessano, rappresentati da soggetti fondamentalmente ignoranti (salvo i livelli più bassi, a volte, in quanto più facilmente controllabili), il cui grande obiettivo è perpetrare se stessi tramite il consenso. La preparazione viene vista come inutile. Il sapere è delegato ad una classe di tecnocrati, grigi e senza volto, che governano dall’ombra. Il potere diventa un fiume carsico, che si inabissa portando via i soldi delle tasse. E voi siete là a domandarvi cosa sia stato. Una visione triste, ma realistica. E, soprattutto, per quanto questa caratteristica oggi sia sottovalutata, vera.

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