Milano 15 Marzo – Riportiamo l’intervista a tutto campo rilasciata da Stefano Parisi a Caterina Gioielli e pubblicata da “Tempi” in edicola. Per conoscere meglio l’uomo, la sua storia, la sua professionalità. Per capire la spinta ideale che è all’origine della sua candidatura
“Un romano salverà Milano da Roma. Un romano adottato per la seconda volta da Milano, città adottiva per eccellenza, fatta grande dai suoi figli adottivi (da Costantino ad Ambrogio, da Leonardo da Vinci a Michele Guido Franci, da Strehler al cardinal Schuster, e quanti romani tra loro!). Un romano vuol salvare Milano dalla burocrazia e dalla statocrazia del governo centrale. Un romano che vede nei punti di crisi (periferie, inquinamento, sicurezza) una occasione per lo sviluppo e non l’ennesima occasione per piangere e chiedere sussidi. Uno strano romano o uno strano milanese, che inizia la giornata controllando i messaggi su Whatsapp e la chiude portando a spasso un cagnolino. Uno strano uomo di centrosinistra che potrebbe salvare il centrodestra, sulla scia della grande tradizione del socialismo riformista milanese, sconfiggendo uno strano uomo di centrodestra che vorrebbe salvare la sinistra cogliendo l’eredità di un sindaco comunista.
Libero da Roma, libero da Renzi, libero dalla politica politicante. Che adora scommettere il suo futuro e che quando guarda la nuova skyline di Milano pensa che fu anche lui a gettarne le basi. Questa è la storia di Stefano Parisi, candidato a sindaco di Milano.
Chi è
Stefano Parisi corre per Milano. D’accordo, oggi è il claim della sua campagna elettorale ma correre per Parisi, una moglie, due figlie, grandi maratone all’attivo, è anche molto di più, lui corre da sempre. Classe 1956, militante Fgsi al Liceo Righi in quegli anni lì, facoltà di Economia e Commercio alla Sapienza di Roma, una gavetta al centro studi della Cgil e, a neanche 30 anni, l’approdo a Palazzo Chigi. Dal 1984 all’88 è a capo della segreteria tecnica del ministero del Lavoro, passa quindi alla vicepresidenza del Consiglio durante il governo De Mita fino all’89, capo della segreteria tecnica di De Michelis al ministero degli Esteri. A partire dagli anni Novanta è a capo del dipartimento per gli Affari economici della presidenza del Consiglio dei ministri, lavorando con Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, fino al primo governo Prodi, quando nel 1997 viene chiamato dal sindaco di Milano Gabriele Albertini a fare il City Manager. Parteciperà così a quel mandato comunale di rilancio della città dopo gli anni di Tangentopoli e l’amministrazione comunale a guida Formentini.
È in quegli anni che il funzionario pubblico si trasforma in manager. Nel 2000 lascia Milano per tornare a Roma dove il presidente di Confindustria Antonio D’Amato lo vuole direttore generale dell’associazione degli industriali; fino al 2004, quando Parisi diventa amministratore delegato di Fastweb, nata cinque anni prima nella Milano cablata appunto sotto il suo mandato. Costretto a dimettersi nel 2007 per via della bufera scoppiata sullo scandalo riciclaggio Fastweb-Telecom, viene assolto con formula piena. «Avrebbero potuto archiviare nel giro di 15 giorni, invece ci sono voluti tre anni».
Nel 2012 avvia l’avventura di Chili Tv, società italiana pioniera del cinema in streaming. Finché, tre mesi fa, vede il suo nome sui giornali: l’ex City Manager di Albertini candidato ideale per correre contro l’ex City Manager della Moratti, Giuseppe Sala, dato vincitore alle primarie del Pd nella città meneghina. Da venerdì 26 febbraio, quando annuncia la sua candidatura per il centrodestra, si definisce un politico che corre per Milano.
Il manager degli anni della rinascita
Fino al 1997, Parisi è quindi un funzionario politico, «il burocrate che ha messo tutti d’accordo», commenterà Albertini. «Quelli vissuti nei Palazzi Romani furono gli anni drammatici di Tangentopoli, della crisi economica, la concertazione coi sindacati per la scala mobile, la Lira che esce dallo Sme, l’ingresso in Europa», racconta a Tempi. «Fu Milano a trasformarmi in un manager». Quando sua moglie Anita, che aveva appena lasciato una casa a Roma Prati con due figlie piccole, si trovò davanti alla sua nuova casa scoppiò in lacrime. «Il Comune ci aveva sistemati in un ufficio in fondo a corso Garibaldi, il corso di fine anni Novanta, devastato dai graffiti, gli homeless che dormivano sul marciapiede. Al posto della porta c’era una cler. Quando i vicini seppero che mi ero trasferito lì mi inondarono di lettere per denunciare il degrado della zona».
A lui piace raccontarlo così l’impatto con Milano, «l’impatto con la voglia di trasformarla. Milano era una città ferita, degradata, la sua procura era ogni giorno sulle pagine dei giornali. Ricordo, nel 1998, nove omicidi in nove giorni. Con Albertini ci riprendemmo la città. Scendendo in strada. Facemmo il Patto per Milano, gli Stati generali che coinvolsero tutte le categorie della società civile: dagli industriali ai sindacati, dall’Università alla Cultura, dalla Chiesa ai quartieri, gettammo le basi per il grande ridisegno della città che oggi è sotto gli occhi di tutti. Riportammo in strada dopo un lungo braccio di ferro sulle regole del contratto, i vigili urbani, cablammo l’80 per cento delle abitazioni, facendo di Milano una delle città più cablate al mondo. Per tre anni mi sono dedicato giorno e notte ad attività amministrative legate a servizi, dal sociale alla raccolta dei rifiuti. Alla fine conoscevo Milano più di Roma che avevo vissuto solo da abitante. Quando accettai l’incarico in Confindustria e dovemmo trasferirci di nuovo, le mie figlie piansero più di quando lasciarono Roma».
La scommessa
Sistemate le cose a Chili, Parisi ha accettato di misurarsi nuovamente con Milano e soprattutto con una grande scommessa politica: «Io la chiamo la rigenerazione del centrodestra. Dobbiamo riportare i moderati sulla scena politica, riportare 100 mila scontenti che non vanno più a votare e che così facendo hanno decretato il successo di Pisapia alle urne».
Per Parisi si tratta di un’occasione storica per lanciare un segnale al paese «e dare un messaggio di unità forte, puntare sulla forza di una coalizione che vuole diventare maggioranza liberando le forze positive, le persone e le imprese da una pubblica amministrazione che ha dimostrato di non essere all’altezza della storia di Milano; e dobbiamo farlo ora, in un momento in cui la sinistra esce lacerata dalle primarie, una sciocchezza che da sola dice l’incapacità di un gruppo politico di assumere una leadership».
Guardate il nuovo skyline di Milano, va ripetendo Parisi, «col nuovo Piano di governo del Territorio della sinistra non sarebbe mai stato realizzato: questo dice tutto delle due visioni diverse e opposte, della città e del mondo, che troviamo a Milano. Tutto quel che è sorto con Pisapia, da Porta Nuova ad Expo, è stato pensato da Albertini e dalla Moratti».
Non antipolitica, ma nuova politica
Dunque da pochi giorni Parisi ha cambiato mestiere, da manager a politico. E questa è una cosa davvero milanese. La politica a Milano ricorre spesso a persone che hanno capacità manageriali e gestione apicale di attività complesse e viceversa. Questo interscambio è una caratteristica – e per Parisi la chiave di volta – della città. «Io credo che il politico nuovo, il politico del futuro, debba saper coniugare alla dimensione del manager, che di mestiere decide in base agli interessi economici dell’azienda, la capacità di fare valutazioni di carattere sociale, perché le sue decisioni investono l’ambito della vita delle persone, e i soldi sono pubblici».
È un concetto cruciale per Parisi: «Io da manager non voglio affatto rappresentare l’antipolitica. Quello che voglio realizzare è una nuova politica, nella quale occorre saper prendere decisioni e si è valutati sui risultati. Per il politico che nasce politico non contano i risultati, conta soprattutto l’annuncio, l’effetto di immagine, la propaganda immediata. Per me invece una “legge approvata” è solo un inizio, non è un risultato. Il risultato è se la legge ha portato all’aumento del benessere, dell’occupazione, se raggiunge i suoi obiettivi. Con questo spirito amministrerò Milano».
Libero dai Palazzi
Lo dice da romano, «negli ultimi anni il destino di Milano è stato deciso a Roma. Renzi si fregia di avere abbassato le tasse aumentando le imposte agli enti locali e Pisapia ha raddoppiato il prelievo fiscale. Riportare i soldi dei milanesi a Milano, riprenderci il destino della città: ecco la nostra missione, su questo Sala non potrebbe mai battere i pugni sul tavolo con il governo centrale e il capo del suo partito».
Beppe Sala, una «bravissima persona, ha il difetto di essere più a destra di me», scherza (ma neanche troppo) Parisi parlando del candidato del centrosinistra Giuseppe Sala, «ma ha una compagine politica che è spaccata e che lo bloccherà. La sinistra radicale oggi gli crea più problemi del centrodestra. È questa la grande differenza, tra me che sono sostenuto da una compagine che mi vuole libero e lui: se Beppe Sala vincesse le elezioni, la sua maggioranza non gli permetterebbe di lavorare».
Periferie, sicurezza, inquinamento
Quando le signore della Milano bene gli chiedono «come fai a stare con Salvini», Parisi risponde fermamente «venite con me a fare un giro nelle periferie e capirete perché sto con Salvini». Moderato non significa dire cose mosce, «io in fatto di periferie, sicurezza e immigrazione ho detto cose chiare e dato indicazioni nette: alla paura delle persone non si risponde con sprezzanti parole vuote né con le prediche sull’accoglienza».
È il primo a parlare di rispetto delle nostre «regole giudaico-cristiane», a dire «sì a un luogo di culto islamico autorizzato, ma sermoni in lingua italiana e finanziatori chiari e affidabili», ma anche a richiamare tecnologie per la sicurezza. «Pensate come sarebbe semplice, per esempio, dotare ogni telefonino di una app, un tasto sullo schermo come i tanti che si usano quotidianamente, attraverso il quale dare l’allarme in caso di pericolo. Pensate come sarebbe più sicura la città se tutte le telecamere, pubbliche e private, fossero collegate in un’unica grande rete, visibile solo alla polizia e ai magistrati, ovviamente». E soprattutto a liquidare come «grandissima sciocchezza» la lotta all’inquinamento in salsa Pisapia, tutta domeniche senz’auto e inviti a usare la bicicletta. «Sapete che il grattacielo di Unicredit – voluto a Porta Nuova dalla Giunta Albertini, e realizzato da uno dei più grandi architetti del mondo, Cesar Pelli – da solo concentrando i servizi e gli uffici di quella grande banca ha tolto 50 mila auto dalla città? Questa è la lotta all’inquinamento, non “andate in bicicletta”, o, “speriamo che piova”».
Il problema si risolve «con un grande investimento a lungo periodo sulle abitazioni private, attraverso incentivi fiscali, premi volumetrici. Mi daranno del palazzinaro: chi se ne frega. L’ambiente è un grande tema di sviluppo, l’edilizia ecosostenibile garantisce occupazione e posti di lavoro. È un tema che fa il paio con quello delle periferie. E anche qui la sinistra ha dimostrato di non saper dare soluzioni: solo divieti, ansie e sanzioni ai cittadini».
Expo e Comune 2.0
Dice Matteo Renzi che «Milano ha la responsabilità morale di guidare il cambiamento in Italia, ed è nelle condizioni di farlo» riferendosi al “petaloso” (sic) progetto del megacentro di ricerca sul genoma umano Human Technopole nell’area Expo. «Peccato che il progetto occupi solo l’8 per cento dell’area, potrebbe sorgere ovunque. Io immagino un orizzonte corale per quegli spazi, dove trovino posto le persone e gli attori del territorio, dalle università ai centri sportivi», spiega Parisi, che proprio sulla coralità e i servizi alla persona ha costruito gli anni da City Manager allora e un capitolo centrale della campagna elettorale oggi: «Digitalizziamo la città: la digitalizzazione non costa niente e produce risparmi. In ogni campo. Accorpiamo le 130 banche dati del Comune che oggi non comunicano tra di loro, così non dovremo più chiedere ai cittadini per ogni pratica documenti e informazioni che già abbiamo ma che non sappiamo dove cercare, mettiamo semafori intelligenti che regolino il rosso e il verde secondo le condizioni effettive del traffico, evitando lunghe e inutili soste con il motore acceso quando nell’altro senso non passa nessuno, creiamo un’app per i posteggi, con la quale ogni automobilista sappia come arrivarci, se sono liberi, e possa prenotare un posto. Soprattutto, informatizziamo la macchina amministrativa, investiamo in formazione perché i 15 mila dipendenti a diverso titolo di Palazzo Marino possano avviare la rivoluzione della macchina comunale».
Siamo tutti milanesi, è il titolo di una vecchia commedia di Mario Landi del ’53, «Milano è la cosa più italiana d’Italia», scriveva l’Observer due anni dopo, ripreso dal milanesissimo Giò Ponti nel suo Amate l’architettura del 1957. Dismessa la giacca di velluto a coste, oggi Stefano Parisi ha un amore per i loden Schneider, un Whatsapp illuminato di notifiche di famiglia e collaboratori ogni istante e tre mesi per riprendersi la fiducia della città.
Uno strano romano, o uno strano milanese, che fa campagna elettorale a bordo di una 500 di quelle rosse che si affittano ad ore in giro per la città, che trova il tempo di portare a spasso il suo cane Mirò, e che continua a fare il suo mestiere: di ex burocrate, ex manager, e di nuovo politico. Che sa come si corre per Milano.”
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