Quel pianto che non sa piangere dell’uomo qualunque

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Milano 23 Marzo – Quel pianto che non sa piangere dell’uomo qualunque, vittima sacrificale di un terrorismo che ha un nome, ma che si affida all’imprevedibile e vigliacca violenza dell’irrazionalità. Ma quel pianto che si ripete ad ogni attentato, è impotenza e rabbia e dolore. Perché la morte non ha una nazionalità, una bandiera. Perché il dolore diventa paradigma universale dei popoli, nella coscienza di un’impossibilità di reazione comune. Quel pianto accartoccia nelle mani l’inadeguatezza di un’Europa indecisa, divisa, inefficiente. E l’uomo sa che la strategia di quel mondo che sembrava lontano, è annientare la sua anima, dilaniare il suo corpo. Infinite anime, infiniti corpi, non importa dove, non importa quando. E’ la lezione spaventosa e terribile dell’invasore, del dominatore. Per una determinazione che non conosce limiti, che non sente ragioni. Impudentemente. Quel pianto grida senza lacrime le sue domande: Perché se siamo in guerra, non combattiamo? Ma che cosa sta facendo l’Europa, il mondo, di fronte a tanta violenta aggressione? Che soluzioni prospetta? Quali strategie? I piani preventivi non esistono, i piani di difesa falliscono miseramente, l’emergenza diventa consuetudine e l’uomo qualunque piange la vittima del fratello con il terrore che domani possa capitare a lui, alla sua famiglia. E a ritroso ricorda di aver combattuto una guerra devastante, di aver contrastato mafia e brigate rosse, di aver pianto caduti e vittime, ma c’era la volontà di arginare con la forza e l’intelligenza battaglie e fenomeni terroristici, ma oggi? L’inerzia di un’Europa che soccombe, che non sa decidere, che non interpreta la gravità della minaccia terroristica, rappresenta il pericolo più devastante. Quanti morti ancora per dire basta?

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