Milano 26 Marzo – Siamo a raccontare ancora una volta l’ennesima prova di insensibilità sociale di Piasapia che, probabilmente a fini elettorali, mette in campo l’ultima furbata di una lunga serie: blocca il fondo di solidarietà per gli inquilini in difficoltà, prevedendo un bonus praticamente universale. Un po’ come Renzi con le note 80 euro prima delle europee. Ne riferisce Francesco Floris su linkiesta con un ampio reportage di cui riportiamo ampi stralci “E’ bastato un tratto di penna per “congelare” gli 800mila euro del “contributo di solidarietà”, uno degli ultimi baluardi per il sostegno ai morosi di Milano: i figli illegittimi di quella crisi economica che, in certi quartieri, gli abitanti continuano a pagare a caro prezzo. Anzi, non un tratto di penna, ma una mail datata 15 marzo. Inviata dagli uffici della Direzione Centrale Casa del Comune di Milano ai sindacati inquilini. Nemmeno a tutti. Solo Sunia (Cgil) e Sicet (Cisl) che, nella commissione che deve valutare le domande degli inquilini in difficoltà – riunendosi una volta a settimana e valutando 35-40 richieste a seduta – hanno diritto a una posto a sedere con i loro delegati e rappresentanti.
Nella mail si legge un lungo giro di parole per dire una cosa semplice: da venerdì 28 marzo non si accettano più domande per il contributo di solidarietà. Si tratta dell’ex Fondo Sociale previsto dalla legge regionale 27 del 2009 – perché spesso a politici e burocrati piace cambiare il nome allo stesso strumento per confondere le acque nel mare magnum del welfare.
Perché sospendere questo fondo? Perché 800mila euro non bastano nemmeno ad onorare le migliaia di richieste che arrivano ogni anno. E perché gli stanziamenti a bilancio sono vincolati ad usi diversi. I soldi sono sufficienti giusto a garantire un migliaio di euro a testa, per circa 800-850 inquilini di case popolari che non riescono a pagare spese e bollette. Soprattutto per chi abita negli edifici misti: privato più edilizia residenziale pubblica, dove le spese condominiali arrivano anche a 200-300 euro al mese. E chi percepisce una pensione minima di certo non dorme sonni tranquilli.
C’è un’altra ragione fanno sapere dal Comune e dall’assessorato alla casa: bisogna rivedere i criteri di assegnazione del contributo di solidarietà. Già oggi i criteri sono più che stringenti. E i documenti da presentare un faldone infinito: il “punteggio” è dato da malattie invalidanti, età, handicap o tossicodipendenza, disoccupazione, divorzi – oltre al requisito di reddito. Su questo punto sono tutti d’accordo, anche i sindacati. Che in alcuni casi hanno visto negare il contributo ai loro iscritti, nonostante un reddito da fame inferiore ai 7000 euro annui, solo perché il richiedente non “godeva” di altri due requisiti, come l’invalidità e l’età superiore ai 75 anni. E per questi casi limite stanno valutando la possibilità di un ricorso al Tar.
Ma se tutti sono d’accordo sul rivedere lo strumento è sulla fase di transizione che ora suonano i tamburi di guerra: i dirigenti dell’assessorato hanno preferito chiudere le serrande dell’ex Fondo Speciale, proprio a due mesi dalle elezioni cittadine, con il venturo cambio di giunta che rallenterà ulteriormente il percorso. E secondo i maligni le tempistiche non sono causali: un taglio di spesa corrente da 800mila euro, con il quale annunciare un mini-bonus per tutti gli inquilini a poche settimane dalle elezioni. Perché nell’urna elettorale “uno vale uno”, sia che abbia un lavoro sia che non ce l’abbia.
È solo l’ultimo capitolo dell’emergenza abitativa meneghina e nazionale: a Roma finisce in prima pagina lo scandalo di “affittopoli”: 357 milioni di euro che mancano all’appello della case pubbliche, per via della morosità, gli affitti fantasma e le irregolarità nel canone, con inquilini che pagano 220 euro al mese di canone agevolato – nonostante redditi da capogiro nell’ordine di centinaia di migliaia di euro – e le7mila persone che attendono l’assegnazione di un alloggio popolare, a fronte di almeno 1000 edifici inutilizzati o abbandonati. Sono queste, infatti, le cifre sconcertanti emerse dalla mappatura del patrimonio immobiliare del I Municipio capitolino voluta dal Commissario Tronca a due mesi dalle elezioni comunali.
Ma se Roma piange, Milano non ride. Perché la “capitale morale” da anni combatte l’emergenza abitativa con strumenti inadeguati, spuntati: l’anagrafe utenza di Metropolitana Milanese – che dall’1 dicembre 2014 gestisce in toto il patrimonio immobiliare del Comune – non è ancora pronta. I dati parziali sono riservati. In buona sostanza significa che la multiutility controllata al 100 per cento dal Comune di Milano – che oltre al patrimonio immobiliare gestisce anche il servizio idrico integrato e la progettazione di infrastrutture fra Milano, Torino, Brescia, passando per Napoli e Cosenza – a oggi non sa ancora di preciso chi abita, e quale titolo, nelle 28.791 abitazioni di proprietà comunale. Alle quali vanno aggiunti anche 8.732 box e posti auto e 1.226 fra negozi, laboratori e depositi sul territorio cittadino. La stesura della nuova anagrafe utenza si scontra con alcune criticità: in passato, la vecchia gestione Aler degli immobili, ha lasciato profonde sacche colme di interrogativi e 1.800 scatoloni pieni di pratiche accatastati in zona Niguarda.
I documenti sono, nella stragrande maggioranza dei casi, cartacei e non informatizzati. Mentre gli inquilini e le famiglie che si vedevano recapitare a casa i moduli da compilare riguardanti i dati su reddito, patrimonio ed eventuali disabilità o figli a carico, spesso rispondevano con informazioni parziali o false. Quando rispondevano. Ma nonostante tutte le attenuanti del caso, a oggi, alla domanda “quanti sono i morosi a Milano e per che cifre?” semplicemente nessuno sa rispondere. Forse si avrà una risposta a giugno, quando verrà completata l’anagrafe utenza – sostengono da MM – fino a quel momento sono più i dubbi che le certezze.
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