Milano 17 Aprile – Dici “Einaudi” e pensi a una casa. Editrice, certo, ma soprattutto casa. Una casa anche tua. Tua, in quanto lettore. Perché Einaudi è un cognome diventato marchio, comunità e storia. Un’enciclopedia di storie e di memorie. Soprattutto negli anni d’oro, nel tempo fra le guerre, nel laborioso Dopoguerra, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Einaudi vuole dire cultura in forma di pagine. Vuole dire pensiero, lettura, scoperta, lavoro artigianale che produce e diffonde storie attraverso i libri: più esattamente, attraverso “il fare libri”. C’è questa dimensione del “fare” che fa andare di pari passo, fa risuonare insieme, la casa editrice e la città in cui ha le sue radici. In effetti, oltre a molte altre cose, Einaudi vuole dire anche Torino.
In questi giorni, fino a sabato 23, Einaudi e la sua Torino sono in mostra a Milano, grazie alla collezione privata di Claudio Pavese, torinese, ex grafico e bon vivant, appassionato cultore dell’avventura Einaudi, come la chiama lui. Alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese, in corso Magenta 59, a cura di Andrea Tomasetig, vengono presentati trecento suoi pezzi, molte prime edizioni, sotto il titolo “I libri Einaudi 1933-1983”. È una raccolta di mezzo secolo di cultura e di stile: stile e cura Einaudi, che hanno ridisegnato l’oggetto libro. Dai primi due volumi, “Crisi del liberalismo o errori di uomini” di Attilio Cabiati, gennaio ’34, e “L’America al bivio” di Amerigo Ruggiero, luglio dello stesso anno, fino ai Centopagine calviniani e alla serie Scrittori tradotti da scrittori. Passando per tutte le collane storiche, dai Saggi ai Millenni, dai Coralli ai Gettoni, dalla Collezione di Teatro a quella di Poesia, dalla Nuova Universale Einaudi agli Struzzi. Una raccolta di semplici prodotti, libri, titoli, autori, copertine, illustrazioni, di fronte alla quale la sensazione è di curiosità e divertimento. Viene voglia di prenderli in mano. Viene voglia che trovino casa permanente a Torino.
Gian Luca Favetto (Repubblica)
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