Milano 19 Aprile – Ancora non si è finito di smontare gli allestimenti del Salone e del Fuorisalone che già la macchina della disinformazione ha iniziato a raccontare balle sulla connessione fra Expo e Salone del Mobile e su quanto i successi, presunti e mai verificati della prima, sarebbero la ragione dei successi, veri e pluriennali e trasparenti del secondo.
Expo e Salone non hanno proprio nulla in comune, se non il luogo geografico, Milano, dove i due eventi si sono celebrati. Tuttavia già questa è una mezza verità, perché Expo a Milano sì è vista poco ed anzi per molte realtà cittadine è stata una concorrente sleale.
Il Salone in tutte le sue espressioni è invece pura creatività, spontanea e d’avanguardia. Come tale supera ogni ideologia o finalità che non siano connesse all’espressione della capacità di fare impresa attraverso la promozione della genialità. Data questa natura l’evento coinvolge spontaneamente ed innerva tutta la città, che con il Salone fiorisce e dimostra di avere quelle potenzialità straordinarie che proprio Expo ha mancato di far emergere.
La verità tuttavia è che il significato del Salone è l’antitesi perfetta di quello lasciato da Expo.
Data questa premessa non è un caso che proprio quest’anno con il Salone Milano abbia ribadito con forza straordinaria di essere un hub, una piattaforma di incontro fra la creatività ed il denaro, fra l’operosità ed il genio e non c’è evento che più plasticamente del Salone rappresenti questa vocazione. Lo stupore dei giornaloni e la corsa all’appropriazione dei meriti nasce dal fatto che nel 2016 il Salone è andato oltre se stesso e davvero ha proposto un’idea per nutrire la città e produrre energia per il futuro.
Il sistema moda ha avuto un ruolo simile negli anni ‘80 e poi ha saputo trasformarsi in industria internazionale. Ha qui le sue radici, ma i sarti di allora oggi sono multinazionali e va bene così. Ma se negli anni ’80 questa città non fosse stata capace di fare sistema per promuovere la genialità di Armani, Ferrè, Dolce & Gabbana, Versace, non me ne vogliano gli altri che non nomino per brevità, la storia della moda italiana sarebbe andata in un modo diverso.
Se questi sono i presupposti che hanno cresciuto il sistema moda ed il Salone, torniamo ad Expo: l’esposizione universale di Rho ha solo concorso a celebrare la parte più controversa dell’esistente ossia che Nestlè, CocaCola e McDonald’s e perché no anche l’Eataly di Farinetti detengono e propongono modelli industriali nel campo alimentare, della cui sostenibilità biologica ed economica molti dubitano, fra l’altro. Tuttavia tutti concordano nell’affermare che la verità sulla cultura della nutrizione non è emersa, né italiana, né mediterranea, né europea, né d’altri. In definitiva sono state messe al centro dell’attenzione le industrie dell’alimentazione, che è cosa ben diversa dalla nutrizione, mentre la seconda ed ancora più complessa parte del tema dell’esposizione universale celebrata a Rho, l’energia, è semplicemente non pervenuta. Ecco perché pochissimi, in relazione all’evento ed agli investimenti fatti, si sono scomodati a prendere un aereo od un treno per andare a Rho, mentre da tutto il mondo si è già prenotata ogni stanza d’albergo per il Salone che verrà. Per assurdo, seguendo il modello Expo, dovremo attenderci per il prossimo Salone un trionfo di Ikea, Leroymerlin, Maisondumonde e sarebbe un incubo, oltre che un altro flop. Allora mettiamoci una bella pietra sopra al modello Expo, così come è già stato fatto per molte faccende che lo hanno riguardato, ed evitiamo appropriazioni ed accostamenti impropri quanto forieri di ulteriori danni alla città.
Marcello di Capua, avvocato ex Presidente Fondazione AEM
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