Milano 20 Aprile – Il 6 Maggio 2016 scade l’attuale convenzione Rai-Stato. Forse ci sarà la consultazione governativa ma nel frattempo il giornale online key4biz di Raffaele Barberio ha lanciato la sua Rai che vorrei da un’imbeccata di Flavia Barca già assessore alla cultura capitolina del sindaco Marino e studiosa della Fond. Rosselli. Dum disputantur, si è incerti su futuro, mission e fusioni di Tv pay, torri di trasmissione pubbliche e private, incumbent Telecom, banda larga ed editoria. Il giornalismo è metà lumpenproletariat metà sotto una doppia riforma corporativa e contrattuale. Nel disastro, call center e Tv locali. Il format straniero omnicomprensivo di processi e contenuti Internet, ancora free, sta sostituendo tutto e tutti sradicando Tv libera e pay, stampa, editoria, cinema, call center dal contesto nazionale. Una grande e cementata indifferenza, dalla politica alla ricerca, non ha badato al voto sindacale nelle aziende della comunicazione, tenutosi tra gennaio e marzo tra i più di 60mila lavoratori Telecom, Vodafone e Rai. Non si è accorta così della vittoria nella Tv di Stato delle sigle sindacali contrarie al trend dettato dalla struttura dei 1500 giornalisti e dirigenti giornalisti Rai. Gente che nel tracollo del lavoro nei media, ha espresso i due ultimi presidenti di tutti i giornalisti, rappresentandone la voce anche in Parlamento. Un sindacato che ha inteso il suo operato come crociata anticentrodestra a prescindere delle condizioni degli altri lavoratori sotto spending review, inclusi i 10mila Rai; che difendeva il servizio pubblico Tv contro il Governo ed oggi lo fa con il Governo, facendo coincidere Tv pubblica e potere statale. Un potere già identificatosi con un unico partito; poi in 2 aree di governo ed una di opposizione; ed attualmente tornato tutto al partito di maggioranza. Gli intellettuali del servizio pubblico vogliono i diritti dell’informazione e la presenza della Rai azienda nel mercato dei media: uno strano oggetto alternativamente bene\servizio di mercato e\o diritto inalienabile. I lavoratori Rai non giornalisti si rendono conto che, se presente nel mercato, la Tv pubblica deve sostenere produzione e ricavi dell’insieme della filiera della comunicazione. La Rai, tra canone e fatturato, vale il doppio del resto dell’intervento pubblico in cultura (Mibact e Fus), 4 miliardi a 2. E’ un tronco solitario attorno al quale non ci sono più bosco, arbusti, cespugli e funghi, tutti bruciati. La Rai non è più sostegno indissolubile e spina dorsale del sistema culturale; non sostiene Cinecittà, il reticolato teatrale, lo sport. Non ha nemmeno l’esclusiva del calcio. L’albero del servizio pubblico Tv con 50 sedi\rami e centinaia di milioni di deficit ha intorno a sé milioni di somministrati e cocopro sopravvissuti al Jobs Act, di giornalisti a 2 euro ad articolo, di lavoratori digitali in solidarietà a riduzione di stipendio e di ricercatori a cottimo. Tanta gente che l’albero, l’abbatterebbe. I lavoratori Rai vorrebbero poter fornire una piattaforma per lo sviluppo dell’informazione a tanti altri soggetti profit; invece vengono ascoltati poco, quanto poco sono utilizzati. Chi pensa di usufruire delle risorse Rai, dalla politica all’accademia, ha un’altra idea, come se l’albero, scheletrito dalla gestione di governi, rappresentanti e direttori autoreferenziali, fosse eterno. Invece ora che il bosco brucia, l’albero solitario Rai minaccia di restare sommerso dal diluvio del generale ludibrio.
Giuseppe Mele
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