Da Achille Lauro a Jim Messina, ovvero come ti controllo il voto (a sinistra)

Attualità Milano

Milano 21 Aprile – Da quando è sceso in campo a Milano Stefano Parisi, la campagna del candidato Beppe Sala si è inceppata, consentendo all’avversario di recuperare via via posizioni, di rimontare quasi completamente lo svantaggio e di riaprire una partita che sembrava già ampiamente vinta dalla sinistra. I sondaggi d’altronde parlano chiaro. Al di là delle motivazioni politiche legate soprattutto ai contrasti e alle divisioni nella coalizione, è sul terreno della comunicazione dove è andata maggiormente in crisi la compagine del centrosinistra. Prima che il centrodestra scegliesse su chi puntare, era sufficiente il successo di Expo per coprire tutte le magagne, compresa la non esaltante vittoria alle primarie ottenuta da Sala con numeri non certo da plebiscito e tra infinite polemiche, dai voti doppi all’utilizzo massiccio di truppe cammellate. Poi abbiamo assistito ad un rosario di messaggi non chiari, contradditori e con qualche gaffe di troppo. Ora si corre ai ripari e lo si fa schierando un guru del settore, un esperto di campagne elettorali, americano ovviamente, noto per essere stato lo stratega della rielezione di Barack Obama nel 2012 e noto, tra gli altri incarichi, per una consulenza a David Cameron. Tale Jim Messina, già messo sotto contratto dal Pd nazionale e da Matteo Renzi con l’obiettivo di superare indenni la difficile prova del prossimo referendum costituzionale in programma ad ottobre ed autentico crocevia per il futuro del renzismo. Vincere o sparire. Un leit motiv che troviamo anche alle amministrative, elezioni che per la sinistra si stanno prospettando come un impegno eccessivamente complicato. Ed ecco quindi comparire il guru anche per il sostegno ai candidati sindaco a Roma, Torino e ovviamente Milano. Come tradizione vuole, il guru parte sempre dal modello organizzativo, la politica finisce sullo sfondo almeno in una prima fase, proprio perché è sulla organizzazione che si fa la differenza. Sembra banale, ma qualsiasi candidato, dall’ultimo dei potenziali consiglieri comunali al più quotato dei futuri sindaci, tralascia in secondo piano questo aspetto, concentrandosi invece come un ossesso sugli argomenti del programma o, peggio, sulla polemica fine a se stessa. Il rischio che sta correndo Sala. Passa il tempo ad enfatizzare le presunte divisioni o le differenze di vedute nello schieramento avversario, dimenticandosi di organizzarsi. Si conquisteranno anche i titoli sui giornali, ma non certo i voti, anzi si rischia solamente di rafforzare gli avversari che di conseguenza si stringeranno di più intorno al loro candidato. Logico quindi pensare che a Milano ci voglia un consulente che faccia ordine e rilanci la campagna, un guru, per rimettere in piedi la baracca. I cavalli di battaglia di Messina sono notoriamente due: il door to door, e fin qui non c’è nessuna novità particolare, e il pledge to vote che invece, unito al porta a porta, lo rende innovativo. E come corollario, ma è comunque il tassello più importante, l’organizzazione piramidale della macchina elettorale e dei volontari, gli snowflakes, ovvero i fiocchi di neve che devono tramutarsi in valanga. Sembra un copione facile da interpretare e mettere in atto, in realtà non è così. Ci vuole infatti raffinata competenza, esperienza, programmazione del tempo, dedizione al lavoro non comune, capacità comunicative e direzionali, skills manageriali, saper lavorare per processi. Doti poco presenti in genere nell’agone politico nostrano, caratterizzato a tutti i livelli da personale cooptato per altre competenze, purtroppo note a tutti e che hanno a che fare poco con il merito, ma invece con la fedeltà, l’omologazione, la sudditanza. Credo che degli insegnamenti di Messina verrà strombazzata appunto l’organizzazione della campagna, piramidale come detto sopra, composta da un responsabile al vertice, 9 responsabili di zona (come il numero delle zone amministrative del comune di Milano), che agiscono come team leader, cinque collaboratori per ciascuno di questi, a cascata altri collaboratori da loro dipendenti e via di seguito fino a schierarne un migliaio. Ma è sul pledge to vote che si concentrano l’attenzione e la curiosità di tutti. Ammesso che si faccia. In pratica, alla fine del door to door, dopo una vera e propria intervista con l’elettore, quest’ultimo, se effettivamente d’accordo con la proposta diventa sostenitore del candidato, compila e firma una cartolina che viene poi divisa in due, una parte resta a lui e l’altra va al comitato elettorale. Ufficialmente per poter essere facilmente ricontattato nel corso della campagna, per ricordargli di votare o per invitarlo agli eventi. Concretamente viene compilato un date base, una mappatura, seggio per seggio, sicuramente utile per verificare anche i feedback, ovvero chi ha votato veramente. Con una buona approssimazione. Funziona questo meccanismo se parli alla pancia della gente e se ti presenti con qualcosa di concreto in mano e non di mero ideale. O è così o non convinci nessuno, ti firmeranno anche la cartolina, ma poi spesso e volentieri votano altro e il controllo del feedback diventa più complicato, meno preciso, troppo aleatorio e quindi inutile. La sostanza la mette Matteo Renzi, dalle famose mance elettorali, gli 80 euro, alle promesse più disparate anche di conio locale. E come non ricordare simpaticamente a questo punto O’Comandante, Achille Lauro, uno che di parlare alla pancia della gente e di promettere mari e monti se ne intendeva. E di feedback pure. Nelle elezioni comunali a Napoli nel 1952 e nel 1956, fece campagna elettorale porta a porta elargendo banconote divise a metà, scarpe spaiate (quella mancante consegnata rigorosamente solo dopo il voto) e pacchi di pasta. Portò a casa oltre 300.000 preferenze e senza guru che lavorassero per lui. Sala invece si affida alle cartoline di Messina e alle promesse di Renzi. Sperando che bastino.

Claudio Bollentini

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