Milano 6 Maggio – E’ delle scorse settimane la notizia che, dopo il flop di uno degli operatori di car sharing che ha sospeso l’attività a meno di due anni dal suo ingresso sul mercato (con buona pace di chi aveva pagato il costo di attivazione del servizio…) nonché dopo l’aumento delle tariffe (rispettivamente, di sosta e per periferie) da parte di altri due, l’assessore Maran, forse (non ce ne voglia) in preda ad una crisi isterica per l’evidente fallimento della sua visione dell’auto “collettiva” come sostituto dell’auto di proprietà, anziché come alternativa, voglia portare in città nuovi operatori, evidente riprova, per altro, del fatto che l’attuale amministrazione sta delegando in buona parte i servizi di mobilità a questi servizi.
Diversamente, assisteremmo ad un analogo impiego di risorse per potenziare la rete ATM, attualmente non sufficiente a coprire le esigenze della città, ancor meno se si pensa che si sta forzosamente cercando di ostacolare, fino ai limiti della sua soppressione, la circolazione delle auto private.
Invece, l’attuale amministrazione presenta il nuovo bando per operatori car sharing, contenente per altro notevoli perle come la mancanza del requisito dell’esperienza nel settore da parte dei nuovi concorrenti o agevolazioni grottesche che, se non si traducessero concretamente nell’ennesima ingerenza con pretese educative da stato etico nello stile di vita dei cittadini, dovrebbero suscitare un effluvio incontrollato di sguaiata ilarità. Difficile, infatti, se non si è degli ambientalisti fanatici che hanno perso totalmente il senso della realtà, reagire diversamente di fronte alla promessa di agevolazioni a “chi adotterà sistemi di monitoraggio ambientale legati allo stile di guida e prevede meccanismi di premialità per gli utenti virtuosi”, mentre quelli che non dimostreranno adeguata coscienza ambientale, è lecito a questo punto supporre, dovranno esser spediti in un gulag dall’operatore per esser rieducati: non essendo più attuale la buona vecchia Siberia, si può ipotizzare come destinazione la “casa dei diritti” di Majorino.
Ma al di là di queste perle, tutto il bando pubblicato il 4 maggio 2016 è un pedante, a tratti incomprensibile e burocratico, coacervo di astrusi meccanismi premiali e sanzionatori dai quali si evince solo ed esclusivamente l’inadeguatezza delle politiche sulla mobilità dell’attuale amministrazione:
1. se davvero si vuole imporre il car sharing con la coercizione (in pratica, un ricatto ai cittadini che se non usano le auto collettive vengono vessati con sanzioni dure, limitazioni, ecc.), il che è assurdo, non possono passare sei mesi tra l’improvvisa sospensione del servizio da parte di un operatore e la pubblicazione di un nuovo bando (con tutti i relativi tempi), senza che nel frattempo vengano almeno attenuate le limitazioni alla circolazione dell’auto privata o potenziati i mezzi pubblici, dato che (tenuto conto dei tempi del bando, ammesso per altro che non vada deserto, viste le difficoltà che stanno evidenziando gli attuali operatori) per almeno un anno saranno venute a mancare cinquecento vetture di un servizio di fatto, anche se non di diritto, pubblico;
2. la visione dell’attuale amministrazione è ideologica, visto che, a quanto pare, non è l’automobile in sé il problema, ma l’automobile privata, ritenuta sporca, pericolosa, piccolo borghese e immorale (ma il Sindaco, a Santa, ci va in bici?), mentre quella “collettiva”, cioè “sovietica”, magicamente è sicura (un ciclista investito da una vettura con tariffa a minutaggio, il cui guidatore quindi è anche portato a cercare di viaggiare più velocemente possibile, non subisce magicamente ferite…), pulita, occupa anche meno spazio a parità di modello, è decorosa e i suoi parcheggi sono “luoghi”, a differenza di quelli delle auto private catalogati spesso da Maran come “non luoghi da restituire alla città”;
3. l’astrusità del bando tra agevolazioni e sanzioni agli operatori è indice di un disperato e impossibile tentativo di trasformazione di un servizio per sua natura privato e complementare rispetto ad altre forme di mobilità, in servizio pubblico obbligatorio per i cittadini. Il che comporta una mostruosa burocratizzazione tipica dei modelli statalisti che, dovendo prevaricare la realtà per imporre l’ideologia, cercano con l’abuso di norme e regolamenti di piegare il dato reale, nell’illusione che disciplinando tutte le infinite ipotesi si riesca a dimostrare che due più due fa cinque.
Fuori dalle favolette bucoliche, invece, questo si traduce in aumento spropositato della burocrazia cui consegue un automatico scadimento della qualità del servizio per gli utenti con corrispettivo aumento dei costi.
Insomma, i milanesi si trovano di fronte ad un assessore che, ossessionato dall’odio per l’auto privata (e quel che rappresenta), si ostina e intestardisce pervicacemente, nonostante i ripetuti fallimenti, a promuovere forme di mobilità “alternativa” sempre più lontane dalla realtà, sia per gli operatori, sia per gli utenti, con il risultato non certo di costruire la città bucolica (e utopistica) in cui le brave mammine portano tutti i giorni i figlioletti in mezzo a boschi a due passi dal Duomo a fare splendidi pic nic in bicicletta tra limpidi ruscelli, scoiattoli e farfalle, come cerca disperatamente di far loro credere, ma semmai una città sempre più invivibile e prigioniera di un costosissimo caos.
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Alessandro Barra
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