Una campagna di Sant’Egidio dà un nome ai bambini “invisibili” del Burkina

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Milano 6 Maggio – Un reportage del Corriere ci restituisce l’iniziativa solidale dell’associazione Sant’Egidio nei confronti dei bambini senza nome del Burkina. Ne riportiamo l’articolo: “OUAGADOUGOU «Ve ne andate, ci lasciate? Non dimenticarti il mio nome!» urla Issa, piedi nudi, jeans strappati e camicia rossa sbiadita dal sole potente che brucia la vita dei ragazzini fantasma per le strade polverose di Ouagadougou, sgangherata ma vitale capitale del Burkina Faso. Vivono senza genitori, senza casa e senza nome. Nel senso che molti di loro non sono mai stati registrati in comune: per lo Stato quindi non sono mai nati, non esistono.

Senza quel «pezzo di carta» non hanno diritti: sono esclusi dall’esame alle elementari, non possono trovare un lavoro regolare, né accedere al microcredito, o andare in altri Paesi, non possono votare. E diventano facili prede di gruppi criminali e terroristici. Un destino da esclusi contro cui lotta da anni la Comunità di Sant’Egidio, protagonista di un programma per la registrazione anagrafica che dal 2009 ha portato a nuova vita tre milioni e mezzo di «invisibili»: un quinto degli abitanti di questo Paese. Una volta alla settimana, la domenica, in trenta si ritrovano nello spiazzo antistante la sede della Cooperazione svizzera, sulla trafficatissima avenue Kwamé Nkrumah, quella dell’attentato di gennaio al bar Il Cappuccino e all’Hotel Splendid. «Ero lì al momento della strage, ho avuto tanta paura» racconta Issa, che insieme ad altri compagni di strada è riuscito a dileguarsi in tempo.

Ora sono qui, seduti per terra, con penne e quaderni. Cercano di imparare a scrivere affiancati da un gruppo di volontari locali che operano anche in un’altra zona, vicino alla stazione di Charles de Gaulles. Come a Parigi, ma Parigi è lontana anche se quasi tutti in città sanno parlare francese, la lingua degli ex colonizzatori adottata nelle scuole. C’è chi prima di finire in strada aveva quasi concluso le elementari. Come Issa, che sogna di fare il calciatore. «È cinque anni che passo il Natale in strada, da quando avevo 12 anni — racconta —. Prima vivevo a Somgamdé (alla periferia nordest della città,ndr), ma dopo diverse fughe da casa, i miei genitori mi hanno spedito in un centro a Orodora (a 400 km da Ougadougou, ndr). Con due fratelli più piccoli, non volevano avere in casa una mela marcia. Sono scappato anche da quel centro perché mi picchiavano. Da allora mio padre non ne vuole più sapere di me. Nove mesi fa sono andato a trovare mia mamma, quando mio padre non c’era. Vorrei tanto tornare a casa».

«Prima devi smetterla di sniffare colla, lo sai», interviene con un sorriso Solange Kpogbemabou, architetta di professione e responsabile dell’iniziativa per passione. La colla, una maledizione per questi ragazzi. Una droga facile, si trova in negozio, un tubo costa 50 franchi locali, se ne compri 12 te ne danno pure altre due in omaggio. Bertrand ha 13 anni,è in strada da due e mendicando racimola sui 500 franchi al giorno (l’equivalente di un euro). «I miei genitori sono separati, mio padre da quando vivo in strada non vuole più vedermi, e comunque io non vivrei con la sua nuova moglie». Kevin, in strada da quando aveva 9 anni, da piccolo riusciva a prendere dai 3 ai 10 mila franchi locali al giorno di elemosine. «I piccoli inteneriscono di più. Per questo vengono arruolati e sfruttati dai più grandi — spiega Solange —. Dicono che la colla non fa sentire la fame e il freddo della notte, ma è altro che non vogliono sentire, vogliono dimenticare». Alla fine, tra battute in morée, la lingua locale, e qualche risata, arriva la cena su un carretto con piatti già porzionati: stasera pesce e riso. Devono aver gradito: in un attimo finisce tutto.

«Tutto è partito da qui, l’idea della campagna sulla registrazione anagrafica ci è venuta proprio lavorando con i bambini di strada» spiega la coordinatrice del progetto «Bravo» in Burkina Faso, Mira Gianturco, che da anni fa la spola con l’Italia. La partenza nel 2009 con il programma di sensibilizzazione sull’importanza dell’atto di nascita: difficile far capire che non era soltanto un pezzo di carta. La Comunità di Sant’Egidio è stato partner finanziario e tecnico del governo che ha offerto per oltre un anno questo servizio in modo gratuito. Un’iniziativa di solito circoscritta ai potenziali elettori alla vigilia del voto, su proposta di Sant’Egidio è stata estesa ai minori e per un periodo più lungo. Nel 2014, il progetto pilota con le scuole: un’équipe mobile è andata in tutti gli istituti della provincia di Sanguié e ha registrato 35 mila bambini. «Ora vorremmo replicarlo in tutte le 45 province», dice Gianturco. Nell’ottica di anticipare sempre più il momento della registrazione anagrafica, sempre nel Sanguié, sono stati coinvolti i centri maternità: in alcune località rurali, accanto alla sala parto è stato allestito un ufficio che rilascia l’atto di nascita.

A monte il lavoro, decisivo, con le istituzioni locali: prefetti e funzionari di tribunali, insegnanti, personale sanitario, con corsi di formazione a cui hanno partecipato 750 operatori. Un’idea geniale quella dei centri di maternità di base. «Chi partorisce a casa, viene comunque qui subito dopo per le vaccinazioni», osserva Gianturco. Nel centro di Godyr, nel mezzo del nulla, c’è un nonno a registrare una neonata: «Come la chiamo?» ci chiede. La madre è tornata a casa con la piccola senza certificato perché da sola non poteva scegliere il nome. Il nome per tradizione lo dà dopo la nascita il padre che in questo caso è all’estero. Il nonno guarda il calendario, come si usa qui: «È nato il giorno di San Marco. Sarà Marceline».

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