Milano 9 Maggio – Nella lotta contro il terrorismo islamico possiamo affermare che l’Unione europea è fragile ed incapace oltre ad assumere un comportamento ambiguo. Entrando nello specifico, gli Stati membri hanno grandi responsabilità, a cominciare dalla loro riluttanza a collaborare e non rispettando i loro impegni dando solo parvenza di aumentare la sicurezza dell’Europa.
Pur avendo investito molto sull’integrazione del sistema bancario o agricolo, l’U.E. non ha fatto grossi passi in avanti per un’integrazione dei servizi di intelligence: l’unica agenzia europea di intelligence è l’IntCen che si occupa di scambio di informazioni e analisi delle minacce, ma come ha giustamente osservato Nicolas Gros-Verheyde, giornalista francese esperto in questioni europee e di difesa, l’IntCen è più simile all’ INR (Bureau of intelligence and Research) del Dipartimento di Stato USA ed è ancora lontana dall’essere una versione europea del FBI.
Pur essendo un’agenzia in grado di operare nello scambio di informazioni e di condurre controlli incrociati, non ha capacità di raccolta poiché l’IntCen dipende dagli Stati membri e soffre una mancanza cronica di informazioni da analizzare e su cui operare. Certamente le cose vanno meglio in questi ultimi anni dal punto di vista della lotta contro la criminalità organizzata e la criminalità informatica ma sul lato della lotta al terrorismo islamico è più complicato. Tutte le strutture e le agenzie antiterrorismo nazionali non contribuiscono sempre all’analisi dei file. In parole povere ci troviamo di fronte ad un’Europa impotente, ad un’Europa che non funziona perché non fa nulla per funzionare.
Negli ultimi mesi, dopo gli attentati a Parigi e a Bruxelles, l’unico progetto attuato per “prevenire” nuovi attentati terroristici di matrice islamica, è stata introduzione di una squadra di collegamento congiunto di esperti nazionali in materia di lotta contro il terrorismo, a sostegno delle autorità di polizia degli Stati membri. In particolare, questa squadra ha il compito di analizzare le informazioni sui flussi di combattenti esteri e dei flussi di finanziamento del terrorismo con l’identificazione dei titolari di carte prepagate, la creazione di registri nazionali centralizzati di conti bancari, la convergenza della Associazione delle unità di informazione finanziaria (UIF), come TRACFIN, il traffico di armi, la propaganda on-line. Quindi, in poche parole, palliativi.
Ad ogni modo, se l’Unione Europea cerca solo a parole di contrastare il terrorismo islamico, gli Stati Membri agiscono in maniera assai ambigua in questa lotta: alcuni importano clandestini appartenenti al ceto medio per migliorare il mercato dirigenziale del lavoro (vedasi la Germania), altri scendono a patti col terrorismo candidando i suoi insospettabili “rappresentati” a ruoli istituzionali, altri ancora, come l’illegittimo governo italiano i cui membri dovrebbero sedere sul banco degli imputati di un tribunale giacobino anziché sugli scranni ministeriali, che in nome di una presunta “solidarietà” umana, importano e finanziano coloro che vorrebbero sovvertire la Repubblica a vantaggio di una teocrazia. Ma il reale scopo del maggior partito attualmente al governo di Roma è arricchirsi con i centri di accoglienza (gestiti dalle sue cooperative) e, nel tempo, sostituire gli elettori autoctoni con i “nuovi” italiani.
Per combattere ogni genere di terrorismo, anche islamico, serve principalmente abbandonare il “politically correct”, imponendo agli ospiti usi, leggi e costumi del Paese ospitante e colpire le fonti economiche che reggono i vari cartelli del terrorismo islamico ma che fanno capo ad un’unica organizzazione: la Fratellanza Musulmana, quel movimento politico arabo di ispirazione wahabita, nata in Egitto e che è riuscita ad espandersi in tutto il mondo musulmano con sigle o nomi diversi: Hamas, G.I.A., F.I.S., ISIS, Al-Qaeda, etc. e che oggi vede due suoi esponenti candidati al Consiglio Comunale di Milano.
E quale mai sarà la sua principale fonte di finanziamento? Cari lettori sappiate che non sono i detentori delle carte prepagate che l’U.E. vuole schedare che finanziano i Fratelli Musulmani, che tanto cari furono ad un giovane italiano che ci rimise le penne nella capitale egiziana, ma a gestire quel flusso di denaro che serve a compiere attentati sul suolo occidentale sono una galassia di associazioni no-profit di ispirazione islamica che fanno capo ad una ong che ha una sede anche a Milano: il suo nome è Islamic Relief, ong sul quale verrà dedicato nei prossimi giorni un articolo ad hoc e successivamente sui suoi collegamenti milanesi con le varie onlus musulmane presenti sul territorio, al momento governato ed incontrollato, da Pisapia.
Impiegato presso una nota multinazionale americana, ha avuto varie esperienze di dirigenza sia in campo professionale che in campo politico.
Scrive per Milanopost ed altre testate, soffermandosi soprattutto su Israele, Medio Oriente, Africa sahariana e subsahariana. Giornalista Freelance scrive più per passione che per professione.