Milano 18 Maggio – Non trova pace la nomina del nuovo procuratore di Milano. L’intervista della scorsa settimana al Corriere della Sera del ministro Andrea Orlando, con l’endorsement neppure tanto velato per il suo capo di Gabinetto Giovanni Melillo, ha rimescolato le carte.
Appena qualche giorno prima sembrava che le vari correnti della magistratura avessero trovato un punto di convergenza sul nome di Francesco Greco. Pareva, quindi, fatta per l’attuale aggiunto di Milano, particolarmente gradito dai suoi colleghi milanesi che da tempo lo considerano il dirigente in pectore dell’Ufficio.
Una scelta nel solco della continuità con i suoi predecessori, oltre ad essere il degno coronamento per un magistrato che ha trascorso quasi tutta la sua carriera a Milano occupandosi di alcune delle indagini più importati che hanno segnato la storia del Paese. A partire da Mani Pulite.
A Greco, comunque, non facevano difetto neppure le entrature nei palazzi romani, essendo il presidente della Commissione ministeriale sull’autoriciclaggio. Ben voluto da Matteo Renzi, non era visto con il fumo negli occhi neanche dal cerchio magico di Arcore.
La mancata unanimità sul suo nome nella votazione dello scorso aprile in quinta Commissione, 3 voti per lui, uno a testa per gli sfidanti Alberto Nobili e, appunto, Giovanni Melillo, tutti appartenenti ad Area, si sarebbe raggiunta al Plenum. Votazione che il Vicepresidente Giovanni Legnini vorrebbe subito questa settimana, ultima data utile prima delle elezioni amministrative di giugno. Anche perché il posto, andato in pensione Bruti Liberati, è ormai vacante da oltre sei mesi.
L’accordo sul nome di Francesco Greco sarebbe rientrato, comunque, in un giro di nomine più ampio che riguardano sempre il palazzo di giustizia milanese. Sono infatti vacanti i posti di presidente della Corte d’Appello, di presidente del Tribunale di Sorveglianza, di presidente del Tribunale per i minorenni, di aggiunto all’Ufficio Gip e ben sei posti di presidente di sezione fra penale e civile. Per un numero cosi elevato di incarichi dirigenziali nella stessa sede, fatte salve le capacità professionali dei candidati, i “compromessi” fra le varie correnti della magistratura, con le attuali dinamiche al Csm, sono di fatto inevitabili. Il rischio dello “stallo”, con manovre dilatorie, è dietro l’angolo.
Ma il ministro della Giustizia, come si diceva, rispondendo indirettamente a chi aveva avanzato dubbi sull’opportunità della candidatura Melillo, da molti considerato come il “papa straniero”, aveva dichiarato che “l’attività dei magistrati messi fuori ruolo per collaborare con istituzioni governative non può essere demonizzata”. Affermazione importante proprio perché proviene da chi, oltre ad essersi espresso per una modifica del sistema elettorale dei componenti del Csm che tolga “potere” alle correnti, a breve dovrà visionare i pareri dei tre candidati quando arriveranno al Plenum.
E proprio sulla redazione di questi pareri da parte dei consiglieri (i laici Paola Balducci per Greco ed Elisabetta Casellati per Melillo, il togato di Mi Claudio Galoppi per Nobili) sui quali si starebbe ancora lavorando, ieri si è aperto un piccolo giallo. In un articolo su La Repubblica di domenica parrebbe che ”Il Csm è stato costretto ad “appaltare” all’esterno i pareri sui magistrati. Li scrivono altri magistrati che sono pagati per farlo”. Nota alquanto curiosa visto che non c’è traccia di ciò nel testo sulla dirigenza degli uffici giudiziari recentemente approvato dal Consiglio.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.