Milano 30 Maggio – Di recente sono stato in un luogo, alle porte di Milano, in piena Greco che non può essere definito in altro modo che speciale. Era un terreno vuoto, una discarica di materiali di costruzioni. Oggi è un luogo dell’anima. A spese proprie gli abitanti hanno urbanizzato l’intera area. Hanno fatto costruire una centralina elettrica. Fatto le fogne. Insomma reso abitabile il deserto. Eppure quest’anno rischiano di essere cacciati. Questa è la loro storia.
Se fossimo un popolo serio, un popolo diverso, canzoni sarebbero scritte su di loro. Ci accerteremmo che i nostri figli ne conoscessero nomi e storia. Ne andremmo così fieri da dedicare loro vie e musei. Ma siamo quello che siamo, ed ora questa comunità affronta, per la seconda volta in pochi anni, il pericolo di sparire. Per comprenderne la storia ho parlato con la signora Carla ed il signor Picaluga Enzo, due colonne della comunità. È un racconto che inizia da molto lontano, da quando voi, o i vostri figli, eravate giovani. Dagli anni ’70, quando degli imprenditori coraggiosi hanno deciso di abbandonare la loro esistenza nomade di intrattenitori con giostra al seguito, per prendere dimora alle Varesine. Detta così sembra semplice. Ma dovete pensare che le giostre di un sedentario pesano molto, molto più delle altre. E costano. Costano un sacco. Fare il passaggio da itineranti a gestori di un Luna Park significa rinunciare. Rinunciare a tante cose. Al sonno. Alle vacanze. Alla strada. È stato un rischio enorme, dal quale poteva non esserci ritorno. Eppure ha fruttato. Erano un’istituzione. Pensate che le competenze con cui si è aperto Gardaland venivano da là, dal direttore delle Varesine. Ed anche i primi delfini. Non ci credete? Eppure è vero, le Varesine avevano due delfini. Fino a quando, presi dalla stagione degli amori, i loro canti non disturbarono i vicini ed i gestori li dovettero portare via, a Gardaland. Era, forse un presagio. Negli anni 90 anche agli umani arrivò lo sfratto. Solo che loro avevano scommesso su quel luogo. E lì avevano lasciato i sogni di due generazioni, con la terza che si affacciava. Nel 2001 si risolse almeno il problema abitativo. Gli fu dato il terreno di cui scrivevo prima. Brullo. Inospitale. Ed inedificabile. Eppure, con caparbietà e costanza, lo fecero diventare il giardino di cui sopra. Anche se solo per dieci anni. Poi prorogati di cinque. Rimaneva, però, un problema. Forse IL problema.
Avevano perso tutto. Il Comune non diede loro un’alternativa per il terreno perso. Le giostre andarono, in gran parte, perse. Molti dei proprietari non erano più giovanissimi. E tutti, tutti, erano disoccupati. Ve la ricordate questa emergenza sociale? No, non potete. Perché non ci fu alcuna emergenza. Semplicemente, perso tutto, ricominciarono da capo. Si trovarono altri lavori. Forse un vostro collega viene da là. Forse uno dei bambini che gioca con i vostri figli ha un genitore con quel passato. Magari non lo sapete nemmeno. A loro piace così. Non si mettono in mostra. Sono gente seria e laboriosa. Alcuni sono riusciti a rimanere nell’ambiente, fanno feste di via oppure lavoro all’Idroscalo, nel parco divertimenti. Molti altri no. Si sono organizzati, in ogni caso, e pagano l’affitto per il terreno dove le loro case su strada ed i loro camper sostano. Ogni residente è segnalato al comune. Nessuno entra senza permesso. Nessuna lamentela dai vicini. Questa è brava gente. Brava gente che ha un sogno. Perché le radici profonde non gelano. Vorrebbero poter avere un terreno, per poter aprire un parco divertimenti per i bambini. Si noti bene: non chiedono soldi, non l’hanno mai fatto. Non chiedono “diritti”. Non chiedono assistenza od aiuto. No, chiedono un terreno. Uno dei tanti, troppi, che il Comune manco sa di avere magari. Ed in cambio continueranno ad arricchire la comunità.
Già, questo è il punto. Ogni giorno un buonista si alza e sa che dovrà spiegare ai poveri ignoranti come noi quanto siano belle le altre culture. Quanto in più dovremmo saperne. Questa gente, normalmente, non sa nulla del proprio vicino. Se ne sapesse qualcosa sarebbe d’accordo con la richiesta di questa comunità. Che mi rifiuto di definire giostrai. Giostrai è un termine che alcuni giornalisti hanno inquinato talmente tanto da renderlo inservibile. È una delle tante cose che gli sono state tolte. Il nome. Per me sono e restano gli itineranti. Sempre pronti a riprendere la strada. Che è stata, per sette generazioni nel caso del signor Picaluga, la loro casa. Ed hanno contribuito a fare la cultura di questa Nazione. Di questa città. Potrebbero chiedere soldi per fare un museo. Ed avremmo il dovere morale di darglieli. Invece ci chiedono solo l’opportunità, l’occasione, l’ultima occasione di un terreno. Un terreno dove far rifiorire i sogni. Dove far crescere nuove foreste, dalle radici profonde che non sono gelate.
Siamo quello che siamo. Non canteremo mai canzoni su di loro nei libri di storia non troveremo mai i Picaluga. Ma io spero e prego di potermi svegliare un giorno in una città che gli avrà dato quel terreno. Per avere la certezza che questa terra antica ed ora un po’ vecchia, tra qualche tempo, non si sarà dimenticata di tutto. Anche di se stessa.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,