Se sente l’odore della sconfitta, Renzi fugge

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Milano 31 Maggio – L’iconografia renziana è satura di immagini del premier che corre. Sul Lungarno, in trasferta negli Stati Uniti, lungo il Malecon a L’Avana: quelle foto, a volte rubate dai paparazzi ma spesso ben confezionate dal suo portavoce Filippo Sensisono l’elemento essenziale di quella narrazione da governo che accelera sulle riforme e da Paese i cui motori della ripresa si stanno riaccendendo. Peccato che, mentre quella gallery è soltanto la proiezione di qualcosa che resta nella mente – e nelle slide – del premier, la fotografia da scattare in questi giorni sia ben diversa: il fermo immagine di unMatteo che se la dà a gambe. Che scappa dall’appuntamento elettorale che è la vera cartina di tornasole della fiducia degli elettori nel suo operato: le comunali di domenica prossima. Si vota nei maggiori Comuni d’Italia, da Milano a Roma, da Torino a Napoli, da Trieste a Bologna. E, se è vero da un lato che il voto per il sindaco è sempre stato un appuntamento amministrativo più che politico, una scelta della persona più che una valutazione sulle coalizioni, è anche vero che, a due anni e mezzo di governo quasi suonati, è logico che i cittadini si facciano due conti e riversino la propria generale delusione sull’indicazione del primo cittadino. Perché sempre di andare a votare si tratta e, va detto, già una forte astensione – a prescindere da vincitori e vinti – sarebbe comunque un brutto segnale. Renzi, che gli umori della gente – non solo i sondaggi – li interpreta molto bene, lo sa perfettamente.

Così, diversamente da quanto ipotizzato quando le Comunali sembravano una passeggiata, percependo aria di possibili batoste – anche nelle città, come Milano ad esempio, dove la vittoria sembrava a portata di tweet – ha iniziato piano piano a defilarsi. Pochissime dichiarazioni, nessuna previsione, rarissime uscite pubbliche con i “suoi” candidati, bidoni a non finire, mani avanti come se piovesse, boutade più o meno rivelatrici e, oggi, un profilo bassissimo sulle chiusure di campagna elettorale. Anziché tirare la volata ai propri uomini di punta, Renzi ha infatti deciso di evitare le piazze più a rischio: Milano in primis, Torino e Roma poi. Niente mega eventi all’aperto, ma piccoli buffetti ai candidati, in qualche teatro del centro o circoletto di periferia, giusto per non “scaricare” ufficialmente nessuno, ma alla chetichella quanto basta per non metterci la faccia.
A Milano, dove Beppe Sala – più volte salutato da tutti come il candidato renziano per antonomasia nonché di quella formula da Partito della Nazione che tanto piace al premier – che si è esibito in una campagna non certo entusiasmante, rischia di grosso al ballottaggio con Stefano Parisi, Renzi arriverà martedì: l’incontro col compagno Beppe e Giuliano l’Arancione per «il passaggio di consegne» col sindaco uscente – così ha etichettato la visita farlocca lo stesso Mr Expo sulla sua pagina Facebook – avverrà in un centro sociale della Barona ad un orario, pare, non certo da grandi platee (a metà mattinata o nel primo pomeriggio). Del resto, si era capito, sono settimane che Renzi ha scaricato Mr Expo. A Torino invece andrà già lunedì, sostenendo Piero Fassino (non proprio un renziano della prima ora, ma comunque in via di riconferma) tra le quattro mura del Teatro Alfieri. Idem a Roma dove mercoledì sera – e qui l’evento è in grande stile – lancerà con Roberto Giachetti la sua sfida a Grillo per il ballottaggio. La maggiore attenzione a Roma si spiega solo così: nella Capitale in cui il Pd pareva – e probabilmente lo è ancora – in ginocchio e dove una vittoria sembrava un miraggio, i sondaggi hanno riacceso qualche speranza. Quindi, anche se Bobo dovesse passare il primo turno per poi perdere al ballottaggio, data la griglia di partenza, sarebbe comunque un buon risultato. Dove Matteo, invece, ci metterà la faccia, è la Bologna di Virginio Merola il cui secondo mandato dovrebbe essere già in tasca.

Insomma, Renzi si affaccia – è pur sempre il segretario del Partito Democratico – ma non ci mette la faccia. E chi, come alcuni cronisti di Corriere e Repubblica, sostiene il contrario, è in cattiva fede: perché solo chi non conosce i rituali del premier e la sua irruenza comunicativa può interpretare queste “toccata e fuga” come una scommessa sul voto di domenica. Tant’è vero che il buon Matteo, che ha il fiuto di un segugio per le vittorie tanto quanto per le sconfitte, si è sempre poco speso sull’argomento. Ne è la prova una delle sue ultime dichiarazioni: «Quello di giugno è un voto sui sindaci, non sul governo». E così, per sviare l’attenzione, ha deciso di aprire con grande anticipo (si vota a ottobre) la campagna per il referendum sulle riforme costituzionali, di modo che già prima del voto amministrativo il baricentro del dibattito politico sia così spostato. Complice, poi, una campagna elettorale dovunque piuttosto sottotono, è probabile che il premier riesca davvero a non far ricadere su di sé e sul suo consenso il peso di un’eventuale sconfitta nelle urne di domenica. Una cosa è certa, qualora dovesse andargli bene, troverà il modo per girare la frittata e intestarsi vittorie alle quali ben poco ha contribuito.

Federica Venni (L’Intraprendente)

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