Milano 2 Giugno – Aldo Cazzullo sul Corriere, dopo un’analisi puntuale sulle motivazioni che potrebbero indurre molti a non votare, chiude l’articolo con un invito forte a non tradire l’opportunità che ciascuno di noi ha, di essere protagonista del suo domani con un voto espresso coerentemente con le proprie idee. Scrive “Le elezioni amministrative del 5 e 19 giugno rischiano di essere le meno partecipate della storia; proprio nei giorni in cui la democrazia italiana festeggia il suo anniversario. Settant’anni fa, in queste stesse ore, i nostri nonni – e le nostre nonne – si preparavano a fare una cosa che non avevano mai fatto e forse neppure pensato: votare, concorrere a decidere il proprio destino, rivendicare la propria parte nella comunità nazionale. Oggi il rito che in un Paese da ricostruire apparve insieme gioioso e solenne è diventato grigio come il nostro umore. Eppure tutte le grandi città sono chiamate a eleggere il loro sindaco, l’unica figura che sino a poco fa aveva resistito al declino delle istituzioni e al degrado della rappresentanza. Oggi i sindaci si dimettono, vengono arrestati, perdono credibilità, urlano insulti; e anche chi lavora seriamente non ha più un euro da spendere, una promessa da offrire. In realtà, i motivi di interesse ci sono. E non soltanto perché le amministrative rappresentano l’ultimo appuntamento elettorale prima del referendum di ottobre” Ad esempio “ Milano, al di là del fairplay tra i candidati – un segno prezioso in quanto raro, che fa della metropoli un’isola nel mare in tempesta della delegittimazione reciproca -, è chiamata a scegliere tra due maggioranze e due idee di città molto diverse.…. La vita pubblica è gracile e incattivita perché la nostra organizzazione sociale offre pochi spazi di confronto e di decisione. Quasi tutti sentono di non contare nulla, se non nello sfogatoio della rete, nella virtualità dei social. Il voto era il segno di un’appartenenza; oggi i partiti non hanno quasi più sezioni, iscritti, giornali, ideologie, forse neppure idee…. L’Italia del 1946 non era l’Eden. Era appena uscita da una guerra civile. Mancava il cibo e c’erano 15 milioni di mine inesplose. Però c’era anche la sensazione che il futuro non dipendesse soltanto dal fato o dagli eserciti stranieri, ma soprattutto da quello che gli italiani sarebbero stati in grado di fare. Non abbiamo nessuna nostalgia della Repubblica dei partiti che sarebbe venuta, oggi rimpianta solo dai politici di professione; ma quello spirito pubblico un po’ ci manca. Ci fu un tempo in cui gli italiani erano pronti a farsi uccidere — e non è retorica, perché molti si fecero uccidere — per conquistare il diritto di costituire una comunità democratica, diventare padroni della propria sorte, sentirsi parte di qualcosa che andasse oltre se stessi. È una conquista che non possiamo gettare via così.”
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