La politica con Parisi ha trovato una nuova vita

Attualità Milano

Milano 5 Giugno – Si dice, qui a Milano, che il buon successo dell’Expo abbia lanciato un’opa sulle elezioni di oggi e, soprattutto, sul ballottaggio. In parte è vero e, purtroppo, nella chiacchiera elettoralistica poco vale il ruolo decisivo di Letizia Moratti che non solo volle l’Esposizione ma si spendette personalmente – si sussurra anche nel significato più letterale del termine – per ottenerla in gara con Smirne. Si capisce che nella storia della città tale aspetto sarà accennato, ma il punto non è esattamente questo almeno ad ascoltare il riassunto di una campagna che definire piatta non è azzardato. Ma la piattezza, dovuta anche e soprattutto alla similitudine dei due candidati top manager – per qualcuno l’uguaglianza si sposerebbe con lo spot dell’Immobildream, quella che il leggendario Roberto Carlino scandisce col “noi non vendiamo sogni, ma solide realtà!” – è anche l’indicazione di una raggiunta quiete della città. Quiete in un’accezione politico-amministrativa, se è vero come è vero che le cose migliori “fatte” dal buon Giuliano Pisapia sono quelle avviate da Donna Letizia Moratti e, prima ancora, da Gabriele Albertini. In questo senso si potrebbe parlare persino di continuità se non fosse che proprio quei, chiamiamoli pregi, del sindaco uscente mettono in risalto i difetti, le carenze e i vuoti.

C’è qualcosa che non ha funzionato nei cinque anni precedenti e si chiama urbanistica, nel suo significato più pregnante, sol che si pensi al dopo Expo, ovverosia al destino di un’area immensa sulla quale sono mancate indicazioni precise e progetti di alto spessore i quali, a volte, si sposano con i sogni, sì, proprio con quelli che stanno in cima alle volontà e alle intelligenze funzionali all’offerta-vendita di solide realtà. Ne è la prova la polemica pre-finale a proposito dei meriti impliciti nell’Esposizione 2015 con la sua difesa “perinde ac cadaver” del ministro Maurizio Martina contro Stefano Parisi, che l’ha invece liquidata come un’iniziativa che chiunque sarebbe stato capace di condurre in porto, nonostante gli sventolii di drappi e bandiere per la visita di Michelle Obama. Il fatto è che anche il ministro, parlando in queste ore di quello spazio, non è andato oltre le consuete riflessioni, al limite della banalità, sulla scienza, la tecnica, il sapere, le sette od otto università milanesi e i centri di ricerca: ragionamenti, o giù di lì. Per non parlare della giunta comunale che non si è differenziata di molto dalle astrazioni progettuali e dalla vaghezza propositiva. Nemmeno queste, ma una vera e propria assenza di politica urbanistica. E che Parisi non ha mai cessato di rimproverare anche nelle conseguenze di scelte mancate sui grandi temi e problemi della sicurezza, dell’immigrazione e della qualità della vita nei quartieri. Perché oltre alla mancata opzione decisionale sull’area Expo, è davanti agli occhi della città, e diciamolo pure colpevole, il vuoto delle scelte a proposito di ben sette scali ferroviari inutilizzati da anni e che costituivano un’occasione eccezionale per decisioni in merito, in una città che proprio da questi spazi può ritrovare le opportunità più preziose nell’offerta di una superiore “quality of life”.

Le liti interne fra assessori hanno rinviato all’amministrazione che uscirà dal voto una così importante (se non vitale) scelta sul territorio urbano, confermando la vistosità di un vuoto, di un buco nero, di un’assenza di coraggio progettuale che fa invece brillare le decisioni delle giunte di prima cui si deve, innanzitutto, lo scenario di uno skyline impareggiabile e soprattutto nelle giornate di “quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello” con le vette innevate delle Alpi che fanno da sfondo a uno spettacolo emozionante. Mancano poche ore al voto e le previsioni le lasciamo al Mago Otelma.

A Parisi e Sala, ai due candidati al ballottaggio (a meno che ci siano sorprese dal M5S) non mancheranno i giorni per un confronto ancora più serrato su questi ed altri temi. A differenza di Parisi, Sala ha indubbiamente una struttura alle spalle degna di questo nome: un partito organizzato con sezioni nei quartieri, associazioni che, più o meno, funzionano, sullo sfondo di una generale e del resto prevedibile disaffezione della gente per la politica. Questa parola così maltrattata ha tuttavia trovato in Stefano Parisi una nuova vita, un interprete diverso, capace, sobrio eppure tenace, pacato eppure innovativo in quel solco riformista e liberale che ha fatto grande Milano. Diciamocelo: Parisi ha rivelato di possedere una marcia in più. Una marcia politica. Ed è un buon segno, anzi, ottimo.

Paolo Pillitteri (L’Opinione)

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