Milano, una città al centro (e bipolarista). Sarà un modello?

Attualità Milano

Milano 8 Giugno – Proponiamo l’analisi politica del voto, a Milano di Venanzio Postiglione, con un’annotazione: se è vero che Sala non rappresenta tutta la coalizione chr sostenne Pisapia, è altrettanto vero che continuerà le politiche demenziali dell’ex Sindaco, per sua stessa ammissione. E se è vero che Parisi ha raccolto un grande risultato è anche merito del lavoro costante in questi cinque anni dei consiglieri di zona e delle tante iniziative per opporsi al “regime” Pisapia messe in campo dal Centrodestra. Di seguito le considerazioni del Corriere “Si può dire in dieci pagine. Ma anche con una sola frase. Eccola: Milano si è messa al centro. E non si tratta di stabilire se sia giusto o sbagliato: è così. Per volontà di chi ha votato. I due manager superano il 40 per cento e occupano tutto lo spazio politico, togliendo l’aria alla protesta e alle ali estreme. Male la sinistra-sinistra che si è presentata contro Sala, male pure la sinistra semplice che ha scelto Sala. Male la Lega che è salita sulla ruspa e ha asfaltato anche una fetta di potenziali elettori. Male i 5 Stelle che hanno cambiato candidato (ma non strategia) e sono andati a sbattere contro il bipolarismo classico (quello che per ora piace solo ai politologi e ai milanesi): centrosinistra e centrodestra con due leader moderati.

Se la città resterà un’eccezione o diventerà un modello si scoprirà nei prossimi mesi. Nel primo caso, sarà un’isola in un Paese con tre schieramenti e una legge elettorale che ne farà vincere soltanto uno, e tanto. Nel secondo caso, indicherà un’altra strada: più l’offerta politica è alta (coalizione unita, candidato forte), più la protesta tenderà ad affievolirsi. Senza svanire. Ma senza vincere. Il contrario di Roma, per capirci.

Un passo indietro. La storia cambia quando Giuliano Pisapia, il sindaco, decide di non ricandidarsi. E qui la sinistra milanese, o almeno una parte, ha un colpo di sole (non è la prima volta). Si convince che la giunta arancione ha cambiato il codice genetico della città e che può esistere una formula Pisapia senza Pisapia e che il centrodestra non si risolleverà mai e che, insomma, il voto sarà una formalità. E allora si può praticare lo sport preferito: la spaccatura. Prego. Renzi più l’effetto Expo lanciano Beppe Sala. Le primarie lasciano più macerie che gioie, ma ormai si è capito. Francesca Balzani si batte bene però viene sconfitta, poi si perde nella nebbia (riapparsa per l’occasione).

Alla fine nascono due sinistre: una viaggia da sola e prende il 3,5 per cento. Poco. Un’altra è battezzata dallo stesso Pisapia, resta accanto a Sala e arriva al 3,8. Poco. Si può dire che è una sofferenza legata alla mancanza di un «proprio» candidato (freddezza, poi astensione), ma si può anche dire che Milano ha ripreso la fisiologia degli ultimi tempi. La stessa che dal 1993 al 2011 ha portato alle giunte di Formentini, Albertini, Letizia Moratti. In questo senso e con la sinistra così distratta, diciamo, il 41,7 per cento totale di Beppe Sala e il 7,6 della sua lista civica non sono un piccolo traguardo. Anzi.

Il punto è un altro. Il rivale esiste. Eccome. Stefano Parisi, partito da sconfitto, ha stracciato i sondaggi fino a toccare il 40,8 per cento: un passo da Sala. Ha rianimato gli uomini di Forza Italia, e domenica sera non ci credevano neppure loro, ha convinto i centristi di Alfano e Lupi, che a Roma governano con Renzi, ha accettato l’aiuto ciellino, che era stato respinto dal Pd, ha più o meno frenato Salvini, che vuole altro per Milano e pure per l’Italia. Al punto che ieri ha rotto la (fragile) tregua sparando contro Gelmini. Così. Per spiegare subito che non accetterà mai il sottinteso politico di Parisi: un centro forte e una destra debole come prova generale per il Paese.

Mai così vicini, due candidati, nella storia di Milano. Uno 0,9 che è un soffio. Profili simili. Vocazione laica e centrista con alleati riluttanti. Elogi alla città che sale, inventata dal dipinto di Boccioni nel 1910 e reinventata dai grattacieli di oggi. Poi le divisioni, certo: i programmi, a chi dare e a chi togliere, le due coalizioni, più sociale o meno vincoli. Resta la percezione, comunque, di una città che sceglierà «un’idea di governo» e non il vincitore di una corrida o il principe della rabbia. Che magari è il senso vero del modello Milano, se esiste.

Milano Post

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