Renzi rinnega Verdini ed il Partito della Nazione

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Milano 9 Giugno – Renzi è un cinico. Lo sappiamo da anni e la cosa non stupisce. Dopotutto fa politica, e la politica fa questo alle persone. Le porta a calpestare i corpi di amici e nemici, per poter scalare la vetta. Le scarpe talvolta si sporcano, ma il panorama è impagabile. O meglio, lo si paga con la propria anima. Renzi ha scalato il cadavere di Letta, quello di Alfano e ieri quello di Verdini. Tutta gente che non sospettava di essere sulla lista del gran leader. Per questo gli ha dato le spalle. Per questo hanno pagato. Verdini, in particolare, è il capro espiatorio perfetto. Tutti, anche i sassi, sapevano che Ala non aveva voti sul territorio, o meglio ne aveva molto pochi. Non è un partito radicato, è nato improvvisamente qualche mese fa e non ha avuto il tempo di fare campagna. Di creare struttura. La sua utilità è fornire voti in Senato. Il problema è che, oggi, dei voti in Senato a Renzi non importa nulla. Oggi gli servono due cose ben precise. Vincere Milano, per salvarsi dalle rovine di Roma e, egli teme, anche di Torino. Ma soprattutto vincere il Referendum di Ottobre. Il primo obiettivo è inestricabilmente legato al secondo. In Inglese lo chiamano “con ”, riprendendo un vocabolo Latino che sta per inerzia. Il momentum serve per ottenere slancio. Si ottiene vincendo battaglie, anche apparentemente marginali, che poi la gente carica di significato. In Italia, poi, siamo tradizionalmente portati a correre in soccorso del vincitore, per cui capitano le infilate positive. Il rovescio è che è difficile uscire da quelle negative. Vi ricordate il 2011? Le amministrative, il referendum, la caduta del Governo? Ecco, in Italia, i Vinti non fanno alcuna pietà ed i Vincitori non riescono a trattenersi dal diventare macellai. Il problema di Renzi è meramente numerico: ha vinto il Referendum, perso il primo turno delle amministrative e non vuole, a nessun costo, perdere il secondo turno per non andare sotto due ad uno. Ma non è finita qua. Referendum e primo turno hanno un’altra cosa in comune. L’affluenza, dove non vincono i Grillini, crolla. Per essere precisi, crolla al Nord. Al Nord, dove c’è l’ultima resistenza Renziana. A Nord dove il Premier sognava di sfondare. A Nord, dove non era mai successo. È un problema epocale, la Sinistra sta a casa. Non era mai successo. Nemmeno nei periodi più bui. I Compagni si sono arresi. Hanno gettato la spugna e hanno rotto le righe. E Verdini è uno dei motivi. Forse, simbolicamente, è il motivo. Alfano, in qualche modo, era accettabile. Chi ha mandato giù Rutelli, con Angelino grossi problemi non dovrebbe averne. Cioè, capiamoci, li ha. Ma sono minori. Quasi trascurabili. È con Verdini, il gran sensale di Arcore, che esistono difficoltà insormontabili.

Verdini è un simbolo. L’ultima rottamazione. L’espressione di supremazia del Premier sul partito, della Nazione sul Partito, del Pragmatismo sull’Ideologia. E quindi, sul Partito. Veltroni, Letta e più di tutti Bersani, erano solo prolungamenti dl Partito. Si dava per scontato fossero precari di lusso, impegnati a dirigere a voucher un’eredità altrui che sarebbe dovuta essere consegnata ai posteri. Renzi no. Renzi è il dominus, Renzi il Partito lo considera roba propria. Di cui deve rispondere solo a se stesso. Ovviamente questa gestione sta generando qualche problema numerico. In sostanza da destra non lo vogliono, perché sanno da dove viene. Da sinistra, invece, non lo vogliono perché sanno dove sta andando. Ora è in mezzo al guado e si sta disfacendo dei pesi. Incluso l’oro con cui tante cose avrebbe voluto comprare, ma che al momento lo trascina verso il fondo.

Quindi, addio Denis. Mi eri simpatico. Ma la Riforma val bene l’ennesimo cadavere che viene trascinato giù, a valle, dalla corrente. Silvio, seduto sulla riva, sorride ed applaude.

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