Per favore, salvate il soldato Parisi

Attualità Milano

Milano 23 Giugno – È cominciata fin troppo presto, l’operazione di killeraggio amico (?) di Parisi, sono fin troppo smaccati i perdenti cronici e i colonnelli senza truppe, ma sono i nuovi tempi della politica, e allora serve qualcuno che riequilibri il racconto, altrimenti disonesto oltre il livello di guardia. Nel nostro, che è piccolo ma credibile, essendo stati dal principio sostenitori del “modello Parisi”, prima ancora che della candidatura, ci proviamo.

Le coltellate variano di entità e finezza a seconda di chi le infligge, ovviamente. Partendo dal basso, il segretario della Lega Salvini (che non è affatto “il Matteo giusto”, come hanno certificato inesorabilmente i dati elettorali) mezz’ora dopo la vittoria di Sala non riusciva già a contenere il livore e l’ansia di scaricare quello che fino ai talk del giorno prima (un pezzo di Paese in cui il nostro è onnipresente) era “il miglior candidato possibile”. Troppa fretta, troppo umana, nel senso piccino dell’aggettivo, troppo leggibile l’intento obliquo. Ti ho tiepidamente sostenuto (al secondo turno diremmo freddamente, visto che chiunque abiti a Milano sa che la Lega ha tirato il freno a meno proprio quando a rigore c’era più bisogno di correre), hai perso, tronco sul nascere ogni tua velleità di voce nazionale. «La formula moderata era sbagliata. Farà il capogruppo dell’opposizione a Milano. Stop». Qualcuno dovrebbe spiegare al virgulto lepenista, già padano, che le consegne in politica si danno in base ai rapporti di forza, e lui a Milano vale la metà di Forza Italia, non è l’azionista di maggioranza della coalizione, il destino di Parisi non è in mano sua. Ma lui lo sa benissimo, ovviamente, sta solamente bluffando, perché un’ipotetica ricostruzione del centrodestra in “stile Parisi” (che ovviamente non vuol dire giocoforza con leadership di Parisi Stefano) lo spaventa, gli rompe il canovaccio, gli nega la magnifica ossessione minoritaria in cui sguazza serenamente, da un talk a un tweet e viceversa.

Ma non è solo il segretario leghista, peraltro già fin troppo impegnato dalla contestazione interna sulla questione settentrionale abbandonata per spendersi davvero in una battaglia esterna, a volteggiare oggi sopra il presunto cadavere politico di Parisi, e a farlo sapere pubblicamente. C’è tutto un certo colonnellume berlusconiano in cerca d’autore, tra cui il tenente colonnello Toti, che non vede l’ora di liquidare Parisi a furia di titoli imboccati a giornali più o meno compiacenti. «A Milano non c’è stato un particolare valore aggiunto di un candidato proveniente dall’esterno dei partiti», dice il governatore della Liguria a Liberoormai coerente organo renziano, quindi preoccupato anzitutto dalla possibilità di un centrodestra liberale e competitivo. Non c’è stato un particolare valore aggiunto? Parliamo dello stesso Parisi che partiva venti punti sotto Sala, e che ha chiuso 51-48, incalzando l’avversario sul suo terreno, snidandone le contraddizioni, mandandolo più volte in palese crisi nervosa, sostanzialmente pareggiando il primo turno? Non c’è stato un valore aggiunto di un candidato che ha ricondotto al centrodestra certi mondi già dati per folgorati sulla via del verdin-salian-renzismo, o perlomeno pezzi significativi di essi, da quello confindustriale a quello cattolico a quello delle professioni? Via, Toti, diciamo che c’è un potenziale competitore sulla scena nazionale da abbattere, e sprechiamo meno carta.

Anche Il Giornale aziona la leva di sganciamento, non sappiamo onestamente se per un’umanissima ripicca del suo direttore già candidato in pectore. Sta di fatto che, oltre alla stilettata nell’editoriale dello stesso direttore («ha pensato di poter fare da solo e ha preso platealmente le distanze dai partiti», come se il bacio di un Lupi o di un La Russa non fosse oggettivamente prossimo a quello della morte) è Augusto Minzolini a prendersi mezza pagina per intrattenerci sugli errori di Parisi. «Non ha capito il mood del Paese» (alchimia magica di ogni analista che si rispetti). «Non ha lanciato nessun segnale al Movimento Cinque Stelle». Doveva fare «il moderato-populista», ossimoro che sta bene a pagina 2 de Il Giornale, ma nella realtà non indica nulla.

Vogliamo dirlo, allora, che quel che oggi i commentatori e/o i sicari del giorno dopo rimproverano a Parisi, è stato viceversa il suo valore aggiunto, il suo tratto distintivo, la sola ragione per cui si può ancora parlare di un modello Parisi per il centrodestra anche dopo la (risicatissima) sconfitta di Milano? Sissignore: idee-guida liberali, un’aggressione alla voracità del Fisco che passa per un’aggressione della Spesa Pubblica (nessuna ambiguità salviniana o pseudosovranista, nessuna concessione a chi propaganda il taglio delle tasse senza passare per il dimagrimento dell’apparato e quindi anche di questo Welfare pachidermico e fuori tempo massimo), rigore non isterico, ma efficientista, sull’immigrazione e la sicurezza, nessun ammiccamento all’altra sinistra, quella massimalista e iperstatalista a Cinque Stelle, per vedere l’effetto che fa contro quella tradizionalista e burocratica del Pd, ma l’ambizione di fronteggiarle entrambe con parole d’ordine pescate dal vocabolario dell’impresa, che dovrà pur ritrovare cittadinanza e rappresentanza in questo Paese, prima che arrivi il default. Questa, è la splendida alterità che ha messo in campo Stefano Parisi, nella campagna dei Masanielli e dei dilettanti allo sbaraglio, dei vassalli di governo e dei talebani di lotta, e nossignore, non finisce col voto di domenica. Salvate il soldato Stefano.

Giovanni Sallusti (L’Intraprendente)

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