Milano 26 Giugno – No, proprio non tollerano che il popolo sia andato a votare e abbia votato contro le loro idee. Sono come quelli che dicono “sì, bello il calcio, purché non si giochino le partite e comunque vinca sempre la mia squadra”. Un esercizio assurdo e un cortocircuito pazzesco (per loro, che pur si professano sacri sacerdoti della democrazia), in cui sono incappati intellò, firme di punta e direttori dei giornaloni nostrani, e politici più o meno trombati.
In cima alla top list c’è lui, il Beppe nazionale, la zazzeruto editorialista del Corsera, Sua Ovvietà Severgnini che in questi giorni si è improvvisato inviato a Londra, per raccontare (a modo suo) il clima che precedeva il voto su Brexit, con reportage così imparziali che in confronto la telecronaca del giornalista islandese durante Islanda-Austria era un sobrio commento distaccato. Beppe, per farla breve, voleva che vincesse il Remain, e non solo lo voleva e ci sperava con tutto il cuore e tutta l’anima, ma ne era anche profondamente convinto e ci avrebbe scommesso la testa e la penna, lui profondissimo conoscitore delle cose inglesi (almeno così si presenta) dai tempi degli imperdibili saggi L’Inglese e Inglesi. Lezioni semiserie (e chi non li ha letti?). Ebbene, dopo la vittoria del fronte Brexit, Beppe si è un po’ alterato, pare che i capelli gli si siano tornati neri dalla rabbia, e anche la lucidità del giornalista modello anglosassone (come vuole apparire) pieno di humour, è venuta meno. È rimasto solo il livore del tifoso sconfitto. E così il pezzo di oggi sul Corsera, anziché una cronaca o un racconto del post-voto, è una sequela di insulti a coloro che hanno osato votare e far vincere il fronte del Leave. Nella serie il raffinatissimo Beppe attribuisce loro gli epiteti di vecchi (“la Decrepita Alleanza”), ignoranti (“i cittadini meno istruiti”), nostalgici della grandezza passata, provinciali (“ne fanno parte i little Engalders di campagna”), infarcendo il suo lessico di tutto il corollario possibile del disprezzo antropologico verso l’avversario, ai limiti del razzismo; mentre il suo co-inviato Marco Imarisio ci aggiunge anche l’etichetta di “poveri”, giusto per non lasciar nulla di intentato. Insomma, ha vinto il popolo pecorone, campagnolo, poco istruito, decrepito, straccione. Il popolo bue, incapace di ascoltare la voce dei ricchi, delle élite e dei gggiovani. Sono loro che trainano il mondo (vero,gggiovane Beppe?), ma i vecchioni rimbambiti e incolti e zotici inglesi non l’hanno afferrato.
Il mito giovanilista attecchisce pure dalle parti di Repubblica, il cui direttore Mario Calabresi – altro convinto filobritannico e filo-atlantico, almeno a parole – se la prende sempre con loro, i vecchiacci britannici, quei nonni rincitrulliti che “si stanno lasciando incantare da chi racconta che rimettere muri, frontiere, filo spinato servirà a farci vivere più tranquilli, sicuri, sereni”. Non hanno capito niente quei bavosi pensionati del Leave, non hanno capito che “la democrazia diretta e i sondaggi in tempo reale non risolvono magicamente i problemi” e “non esistono sempre soluzioni semplici e a portata di mano”.
La morale è che hanno sbagliato, e di brutto. Sbagliato a esercitare il loro diritto di voto. E a votare sì alla Brexit. Una massa di fessi e irresponsabili. In altri tempi li si sarebbe definiti “coglioni”. Ma se lo dicono oggi Severgnini e Calabresi, parole sacrosante. Se diceva queste cose degli avversari Berlusconi, apriti cielo…
Vabbè. Roberto Saviano, altro raffinatissimo intellettuale molto democratico, alza ancora l’asticella e oltre a prendersela col Popolo bue, ignorante e un pochino stupido, ci aggiunge pure che è fascista. Sì, leggersi il suo post in cui paragona il voto su Brexit nientedimenoche alle adunate oceaniche del ’38 all’arrivo di Hitler a Roma (e che c’azzecca?) o a chi plaudiva quando veniva mandato al confino Altiero Spinelli perché oppositore del regime. Che sono paragoni non solo completamente sballati, ma pure offensivi, visto che così si dà dei nazi-fascisti proprio a quegli inglesi che il nazifascismo lo hanno combattuto davvero, con le armi e con le vite, non con le parole a vanvera di Saviano…
Ma che ci vuoi fare. La democrazia è un esercizio bellissimo solo se vincono quelli che dico io. Altimenti è meglio che non ci sia. E a questo filone appartiene sicuramente lo snobbissimo Mario Monti che già l’altro giorno aveva detto cosa ne pensava lui del referendum, definendolo “un abuso di democrazia” (e d’altronde, come biasimarlo, lui che per arrivare al potere non è passato nemmeno per sbaglio dalle urne). E che, non pago, durante il programma di Mentana l’altro giorno ha lasciato intendere la sua opinione sulla volontà dei cittadini. Sintetizzando, il Monti-pensiero è che “le decisioni che incidono sul futuro di molti popoli non dovrebbero essere dettate dal voto popolare”. Ci deve essere qualcun altro che decide per loro, capite? Ci deve essere qualcuno che ammaestri il gregge, lo guidi, lo plagi e scelga al suo posto. Il popolo, lasciato a sé, è irresponsabile e capace di grandi nefandezze. È come un bambino ingenuo o come un vecchio rincoglionito. Abbisognano entrambi di una baby-sitter o una badante.
E colpisce che a sposare questa tesi ci sia anche il non più giovanissimo Giorgio Napolitano che, in un’intervista al Corsera, definisce il referendum inglese “un azzardo sciagurato” e poi, ai microfoni di Radio24, aggiunge che si tratta di “un’aberrazione”. Il voto, un’aberrazione, capite? L’esercizio democratico per eccellenza, riconosciuto nella nostra Costituzione, ma molto prima in quella inglese come diritto sacrosanto di ogni cittadino, è un’aberrazione?
Verrebbe da rispondere che aberranti sono le loro parole, quelle dei politicanti spocchiosi che si ergono a paladini della Costituzione, a sacri numi della Repubblica, a padri della patria, e quelle degli intellò che credono di essere una spanna sopra il popolo, soprattutto quando il popolo non è d’accordo con loro, e all’occorrenza si prendono la licenza di sputare in faccia ai cittadini e alla loro libertà. Be’, cari Monti, Severgnini, Calabresi, Saviano e compagnia bella, sappiate che ci sono molte più cose in cielo e in terra di quante non ne contenga la vostra sterile presunzione.
Gianluca Veneziani – L’Intraprendente
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