Milano 30 Giugno – Giovanni Esposito, consigliere rieletto nel municipio 6, ha intervistato in merito alle recenti elezioni amministrative, l’autore dello studio che presentiamo. Esposito ha avuto così modo di constatare come la valutazione che il Dott Montoli, nella sua qualità di professionista di relazioni pubbliche, dà del risultato elettorale si discosti sensibilmente da quella che accomuna alcuni analisti politici e non pochi elettori e militanti che hanno dato il loro voto al fronte moderato. Riteniamo pertanto interessante riportare il testo di tale intervista, che a nostro avviso si presta ad attente riflessioni teorico- pratiche: con ciò facendo nostra la provocazione culturale a suo tempo in tal senso lanciata dall’intervistatore, che auspicava, ed auspica tuttora in qualità di politico cristiano, l’adozione di questo studio, come quadro di riferimento per una costruttiva discussione autocritica fra quanti hanno a cuore le sorti del nostro Paese.
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ESPOSITO – Qual’ è la sua chiave di lettura del risultato delle elezioni milanesi?
MONTOLI – I partiti politici che si disputavano lo scranno di Palazzo Marino avevano condiviso la necessità di avviare un costruttivo dialogo con le periferie, conquistando i Municipi. Chi su nove Municipi ne ha conquistato cinque vuol dire che ha saputo dialogare con l’opinione pubblica poiché il dialogo ben condotto alimenta la condivisione , che si traduce in voto. L’interpretazione del risultato periferico sembrerebbe ovvio: Il trainer di questa vittoria periferica è un uomo che ha sostituito al linguaggio del politichese quello della “politica” che si sostanzia di realismo, semplicità, buon senso, linearità e concretezza; contrariamente ai luoghi comuni, i voli pindarici, la povertà culturale, lo schiamazzo, la mancanza di rispetto per l’avversario, di cui abitualmente si nutrono i cosiddetti “specialisti della politica”. Con molta probabilità la sconfitta finale, cioè la mancata conquista di Palazzo Marino, può essere dovuta, almeno in parte, all’ insufficiente “consonanza-coralità” di comportamenti analoghi a quello del trainer, sebbene alcuni personaggi di spicco abbiano totalizzato consensi lusinghieri.
ESPOSITO – Ma allora, in ultima analisi, si può trattare del riflesso di una disomogeneità organizzativa?
MONTOLI – Sarebbe più appropriato dire che forse si è trattato anche del riflesso di una carente e maldosata cultura di coalizione, che laddove viene coltivata e alimentata in chiave di pubbliche relazioni, vede i protagonisti della competizione elettorale, impegnati nella comune scalata al voto, riunirsi più volte”prima” di avviare la campagna elettorale per concordare le caratteristiche espressive e le modalità comunicative del programma; quindi “durante” la campagna elettorale riunirsi periodicamente per esaminare criticamente le “risultanze” del dialogo avviato con gli elettori, individuando gli eventuali punti deboli e le “dissonanze” della modalità comunicative adottate, nonché le nuove istanze dei potenziali elettori emerse durante lo svolgimento del dialogo stesso: per farla breve un continuo chiedersi in chiave autocritica, da parte di tutti quelli che appartengono alla stessa compagine elettorale,”quel che la gente vuol sentirsi dire e il modo più appropriato di dirlo”; quello cioè che fa più presa sugli interlocutori, “contestualizzati” anche come destinatari dei messaggi della controparte politica. L’efficacia della comunicazione politica e il ritorno di consenso è condizionata dal rapporto-confronto fra la dinamica espressiva delle parti che si contendono il voto degli elettori; ciò richiede la capacità di interpretare in termini puntuali la fluttuazione degli umori dei destinatari dei messaggi: il che a volte contrasta con la “rigidità” del politico impegnato in campagna elettorale, perché prigioniero di uno schema mentale che gli impedisce di leggere con sufficiente lucidità l’evolversi della realtà in cui si muove. Ecco perché gli uomini politici più avveduti si fanno affiancare da un “impietoso censore amico” impersonato da un professionista di pubbliche relazioni, come tale capace di leggere in termini oggettivi e puntuali la realtà in cui si muove (e a volte maldestramente si agita, utilizzando espressioni inappropriate se non addirittura controproducenti) l’uomo politico impegnato nella battaglia per il consenso, un terreno largamente dominato dall’emotività che spesso appanna le lenti con le quali viene letta la realtà, falsandone la lettura da parte di chi la vive dominato da pur legittimi interessi personali; a volte però cedendo alla tentazione di cavalcare battute stonate pronunciate per il solo gusto di ascoltarsi..
ESPOSITO – Torniamo al punto di partenza; perché la sconfitta a parer suo è solo apparente?
MONTOLI – Perché in realtà porta in sé i germi di una vittoria futura purché se ne sappia cogliere il messaggio traendone le logiche conclusioni teorico- pratiche; Infatti l’aver stabilito le premesse per realizzare un solido radicamento nella realtà periferica costituisce il primo passo per la costruzione di un partito moderno rispondente a quelle caratteristiche cui ho accennato in una precedente intervista apparsa su Milano Post ed è dettagliatamente illustrata nello studio “3 crisi di immagine e di consenso…” da Lei definito, nella sua qualità di politico cristiano, “una provocazione culturale costituente un quadro di riferimento utile per avviare un dibattito costruttivo con tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro Paese”; con ciò riprendendo l’appello che io stesso lanciai a suo tempo su AZZURRO e che scatenò un silenzio assordante da parte dei maggiorenti esperti in politichese, i quali con la loro pratica di marketing politico raccolsero poi “abbondanti frutti” alle successive elezioni. Per risalire parzialmente la china c’è voluto un passo indietro da parte degli “esperti scorridori dei mari politichesi” lasciando il posto ad un manager avente il pregio di considerare la politica con la P maiuscola. Un uomo politico suo malgrado, a tutto vantaggio di chi l’ha scelto; un soggetto che ha costituito una carta vincente in quanto, proprio perché come uomo politico e non politico tout court, ha proiettato un’immagine positiva di cui l’opinione pubblica ha colto la valenza. Ha fatto di se stesso un veicolo positivo di pubbliche relazioni per il partito che rappresentava.
ESPOSITO – Mi vuole spiegare qual è la differenza fra politico e uomo politico?
MONTOLI -Il politico,umanamente inconsistente perché incapace di generare empatia, ritenendosi “elite” considera, più o meno inconsciamente,chi gli si rivolge per colloquiare come un soggetto che gode di un “privilegio”;pertanto l’ascoltarlo è metaforicamente ritenuto un chinarsi sull’ inferiore, sul postulante, su chi guarda in alto, in attesa della parola di “chi sa”, perché abita ai piani alti.
Spesso il politico afferma che la gente “non capisce” la politica , e lo ripete anche in presenza del più catastrofico indice di sfiducia nei confronti della classe cui appartiene; non lo sfiora neanche lontanamente l’idea che potrebbe essere proprio il politico a non capire la gente… il che, alla luce dei risultati dell’operato dei “non capiti”, porterebbe ad invertire, in modo determinante, il rapporto con “i sapienti”;nel qual caso definibili come gli ignoranti dei piani alti
L’uomo politico ha scritto nel Dna della sua coscienza “io sono uno che serve, un uomo al quale è data l’occasione di lasciare una traccia nella società cui appartiene,un cittadino che ha la possibilità e il privilegio di vedere i problemi in un’ottica più documentata di chiunque altro:come tale partecipa alla gestione degli strumenti che possono incidere sulla vita dei suoi “padroni-elettori”, esercitando un ruolo che rende “onorevole” solo se viene ricoperto con la consapevolezza che chi lo ricopre se ne deve sentire “onorato”, purché lo adempia con “onore”.
Sobrietà, compostezza, senso dello Stato e delle istituzioni, rispetto per il “giusto “come metro della giustizia, capacità di offrire speranza con promesse motivate dalla conoscenza della produttività degli strumenti disponibili per soddisfarla, predilezione per la ribalta della spiegazione delle cose fatte, ricerca del primo posto nella gerarchia di chi meglio professa le virtù civiche, rifiuto del moralismo e pratica silenziosa della morale, utilizzo della critica accompagnata da alternative proposte risolutive… queste, ed altre simili, le caratteristiche del suo modo di pensare ed operare.
Di fronte alla difficoltà di stabilire un dialogo con la pubblica opinione l’uomo politico si chiede anzitutto se possiede la facoltà di saper far sapere e di saper ascoltare. Il trainer scelto dai moderati per concorrere alla conquista della poltrona di sindaco di Milano è un uomo politico; e il suo successo costituisce un’indiretta sconfessione dei politici. (analoga considerazione vale per il suo competitore vincente)
ESPOSITO – Ma allora il problema è risolto, basta affidare al trainer il futuro del partito e tutto va a posto; il futuro ci sorride.?
MONTOLI – Sarebbe banale e irriguardoso dire che una rondine non fa primavera perché nel caso in esame siamo in presenza di un trainer di grande valore. Ma un generale valoroso per vincere ha bisogno di una compagine di valorosi e di un esercito ben organizzato capace di adattarsi con prontezza, efficacia ed efficienza alle mutevoli esigenze che caratterizzano di volta in volta il terreno di combattimento. Il che significa che non si può innestare il risultato di un nuovo modo di ottenere il consenso su una vecchia struttura che ricercava in modo diverso il consenso ispirandosi ad una cultura di partito nettamente superata. Occorre creare una cultura di partito ispirata a principi etici, tecnici e organizzativi che ne faccia un interlocutore dell’opinione pubblica ( interna ed esterna) che attraverso un sapiente utilizzo delle moderne tecnologie sappia fare dell’informazione-documentazione il tessuto connettivo di comportamenti omogenei ispirati alla logica del servizio,
ESPOSITO -In concreto come si dovrebbe procedere?
MONTOLI – Raccogliendo la provocazione culturale da lei condivisa e proposta come base di discussione, facendone il terreno d’incontro di coloro che nei cinque municipi hanno stabilito un incipiente raccordo positivo con la pubblica opinione, (un raccordo da coltivare ed ampliare con misure appropriate) concordando una “politica unitaria” di futuro approccio ai problemi reali affrontati con umiltà, competenza e professionalità, con l’ausilio eventuale di esperti animati da spirito di servizio e non di amore della ribalta; privilegiando all’interno del partito i soggetti che si muovono su tale lunghezza d’onda, creando gli strumenti tecnici di base che costituiscano un punto di riferimento comune per tutti coloro che sono impegnati sul terreno della politica come servizio. Tenendo sempre ben presente il rapporto fra etica, dinamica della comunicazione , immagine, partecipazione, consenso motivato, adesione a un programma politico: agendo in termini di relazioni pubbliche, che sono tutt’altro che un’astrazione per chi le sa capire e professionalmente praticare.
ESPOSITO -Visto che lei ha parlato di differenza fra l’uomo politico e il politico come si distinguono l’uno dall’altro per il comportamento dopo il risultato elettorale?
MONTOLI– Il politico ragiona così “sono stato eletto, quindi la greppia è assicurata per altri cinque anni; perciò ora di quelli che hanno lavorato per il partito in mio favore non me ne importa più niente: tutti tornano ad essere il “gregge” da tenere sempre sotto controllo in vista dell’alimento continuativo del mio pascolo… nulla di più. L’uomo politico eletto, invece, si rallegra per aver individuato fra quanti hanno lavorato per lui chi si è distinto per serietà, impegno costante e silenzioso, evidenziando delle potenzialità preziose per un eventuale iter di rinnovamento: si propone pertanto di valorizzarlo qualora avesse voce in capitolo nel creare la struttura di un partito moderno, e quanto meno di segnalarlo a chi di dovere come una risorsa su cui si può contare per realizzare un effettivo “cambiamento”. Circa le modalità di tale cambiamento lei le conosce molto bene avendo dichiaratamente condiviso il contenuto del mio studio, pubblicato nel mio sito leonardomontoli.com e da esso gratuitamente scaricabile.
ESPOSITO -Se un partito che ha riscosso il successo cui lei accenna si trova di fronte all’eventualità di non poter più contare a pieno titolo sul suo leader non viene con ciò meno la principale fonte e forza di rinnovamento?
MONTOLI – Se si riferisce al deus ex machina attualmente convalescente credo proprio che il suo abbandono dell’agone politico non sia da prendere in considerazione. Piuttosto, ragionando in termini di relazioni pubbliche, tenendo conto della carenza culturale che accomuna i partiti, egli ha l’occasione unica di colmare tale vuoto, rilanciando con determinazione la propria compagine su questo terreno. Come? Assumendo il ruolo di “pilota”- di un ripensamento generale della cultura politica con riferimento alla situazione in atto, considerata nei suoi aspetti socio- politici interni ed internazionale, analizzati alla luce dell’incombente crisi europea. Può farlo semplicemente scoprendo la carta vincente che non ha ancora giocato: quella di uomo di cultura con un background universitario di tutto rispetto, che lo legittima a promuovere un “ripensamento” dell’Italia in qualità di promotore-moderatore di dibattiti nei quali coinvolgere personalità di alto livello nazionale e internazionale: con ciò rubando ancora una volta la scena (queste sono relazioni pubbliche concrete!)a tutti gli altri leader politici, impegnati prevalentemente a dipanare aggrovigliate matasse di divisioni interne, sperperando energie in logorroiche contrapposizioni verbali nella prospettiva di future possibili spartizioni di potere. Così agendo, il leader di cui si tratta ( che costituisce oggetto di giusta attenzione da parte sua)dimostrerebbe anche a chi anticipava altezzosamente il proprio ripudio in caso “di ritorno all’antico” che l’applicazione del pensiero critico alla politica è materia di eterna giovinezza perché distingue il poter pensare dal saper pensare. Chiaramente al rinnovato impegno del leader nel nuovo ruolo dovrebbe accompagnarsi il rinnovamento etico, tecnico e organizzativo della struttura di partito in chiave “manageriale”, favorita dalla disponibilità di un manager che ha dimostrato di saper pensare e parlare di politica in termini vincenti, quale protagonista di una rimonta che i troppi “Soloni politici” in circolazione erano ben lungi dall’immaginare. Certamente chi l’ha scelto ha dimostrato lungimiranza e intelligenza politica: un’accoppiata vincente.
ESPOSITO – Molti iscritti ai partiti politici e non pochi simpatizzanti lamentano da tempo la mancanza di luoghi di socializzazione quali punti di riferimento per chi vuol partecipare alla vita politica, specialmente nelle periferie. La tendenza in atto è quella di privilegiare il contatto via Internet, se non addirittura intendendolo come esclusivo. Cosa ne pensa del contatto “virtuale”?
MONTOLI – I nostri vecchi, quando volevano parlare di politica con gli amici che erano sulla stessa loro lunghezza d’onda, se ne andavano in quei luoghi di aggregazione che venivano chiamate sezioni. Lì tra un bicchiere e l’altro si discuteva dell’operato dei politici di vertice: qualche volta si concordava nell’encomiarne il comportamento, altre volte venivano formulate critiche anche feroci che qualche “amico” si premurava di far giungere, in sede romana, all’orecchio dell’interessato. Questi, intelligentemente, la prendeva in seria considerazione consapevole che la base del partito possiede la ricchezza del buon senso che deriva dal contatto con la realtà. Conseguentemente non mancava di capitare non appena possibile “per caso” proprio in quella sede dove era nata la critica per approfondirne il significato e trarne gli eventuali insegnamenti per la condotta futura. Allora vertice e base, nei partiti cosiddetti tradizionali, che affondavano profondamente le radici nella popolazione, costituivano un tutt’uno molto amalgamato e produttivo di rapporti umani e culturali. Perché oggi non esistono più luoghi di aggregazione? Perché il rapporto umano è sottovalutato e adesso si tende a preferire il rapporto asettico di tipo virtuale veicolato dai mezzi informatici; questa almeno sembrerebbe essere la giustificazione ufficiale. La verità è però che al rapporto umano con la base si dà poca importanza da parte dei vertici, che sono per natura e posizione portati a considerarla un gregge dal quale attingere la lana dell’operosa preparazione preelettorale e del voto conseguente. Che cosa può offrire sul piano culturale il signor Rossi e con lui gli operosi peones della periferia, se non l’intervento massiccio a manifestazioni di piazza, lo sbandieramento ossessivo nei raduni di rilevanza mediatica, nei convegni dove devono sfilare i maggiorenti “che sanno” ottenendo ovazioni televisivamente rilevanti? Questo è quello che si chiede amareggiata la base che pure detiene la cultura vera, cioè quella derivante dal contatto quotidiano con la realtà della gente che vota. Per suo conforto, caro amico , sembra comunque in atto una tenue inversione di tendenza, soprattutto in quei partiti che hanno conosciuto una cocente sconfitta elettorale proprio per effetto dello scollamento del vertice dalla realtà della base, alla quale si avverte una tendenza di ritorno che sembra promettere bene per il futuro. Segnando così il ritorno al buon senso che insegna che il popolo non è fatto di click, e che il contatto umano porta con sé una ricchezza insostituibile: la cultura del vero e l’intelligenza che nasce dal contatto col reale; due cose che non rilasciano le università nè insegnano i trattati di marketing politico;né tantomeno la cosiddetta “esperienza politica”, almeno a ben guardare la “statura umana” che essa in alcuni casi produce.. Tutto ciò non significa dare l’ostracismo alle nuove tecnologie ma più semplicemente non farne un feticcio e finalizzarne l’uso per favorire la partecipazione “motivata”, all’interno dei partiti e della società, alla cultura politica: il che, come abbiamo avuto ampiamente modo di illustrare, significa fare relazioni pubbliche in chiave professionale, mettendo al primo posto la persona.L’informazione organizzata in chiave documentaria ed il corretto uso delle moderne tecnologie informatiche,favorendo l’esercizio del pensiero critico, garantiscono la formazione di opinioni motivate, la partecipazione consapevole, l’utilizzo del dubbio costruttivo quale strumento per alimentare le proprie certezze di coscienza,ed esprimere comportamenti con esse coerenti,nel pieno rispetto della pubblica opinione ed a tutto vantaggio della democrazia; e questo, se non andiamo errati, si chiama POLITICA.
ESPOSITO – C’è però un fenomeno che non può sfuggire alla nostra attenzione: i giovani praticano largamente l’utilizzo dei social network; ciò malgrado vengono da molti definiti i grandi esclusi dalla politica o comunque la categoria dei più indifferenti. Come leggere questa realtà?
MONTOLI – I grandi esclusi dalla dinamica sociale, agli occhi dell’opinione pubblica, appaiono i giovani: c’è chi dice che manca una nuova generazione politica, non perché non siano presentì delle eccellenti potenzialità nei vari partiti ma piuttosto perché la “nomenclatura” si è ben guardata dal coltivarle e dal metterle alla prova, evidentemente per la paura che un buon risultato potesse insidiare il proprio potere, cambiando le caratteristiche della leadership. Forti di tale diffuso convincimento i giovani, dal canto loro, tendono a proporsi come la soluzione di tutti i problemi: date a noi il potere e tutto cambierà. Questo, in sintesi, lo slogan largamente praticato, certamente suggerito da onesti intendimenti, privi tuttavia, a nostro parere, del necessario senso di autocritica, che è il sale della saggezza, che non conosce età. Viene infatti confusa, da chi tiene questa posizione, l’età anagrafica con l’età della mente, la cultura con la cultura del nuovo “tout court”, l’impegno ragionato con l’entusiasmo emozionale (certamente sincero); dall’altra parte della barricata c’è chi afferma, in modo non meno pretestuoso, che quello che conta è l’esperienza, dimenticando che non è tanto il numero delle esperienze che un essere umano fa a renderlo saggio, ma piuttosto l’insegnamento che sa trarre da ciascuna delle esperienze fatte. Tutto sommato si tratta di due “fragilità”; tuttavia la fragilità è propria della condizione umana,ma il prendere consapevolezza dei suoi effetti può diventare trampolino di lancio per una trasformazione positiva del proprio comportamento, a tutto vantaggio degli “ideali” che si vogliono difendere. .- A ben guardare la posizione della maggioranza dei giovani rispetto alla politica rasenta il disprezzo assoluto, ovviamente anche influenzata da fatti di cronaca non proprio edificanti; ma soprattutto dal fatto che essa non offre loro alcuna concreta speranza se non la promessa di offrirne qualcuna. Altrettanto dicasi per la posizione verso l’economia dove si notano il trionfo dell’egoismo di pochi, accompagnato alla fatica di vivere di molti e al disprezzo assoluto per i non pochi emarginati: quasi che essere poveri o senza lavoro fosse una colpa non già la conseguenza di una società dominata dal disprezzo per la persona umana, in alcuni casi, e non sono pochi, considerata come merce da vendere e comprare o comunque da utilizzare per realizzare profitti in modo più o meno lecito. Come meravigliarsi allora se i giovani tendono a ritrarsi nel loro guscio, a rifugiarsi nel mondo virtuale godendo della fittizia libertà che esso offre unitamente alla possibilità di affermare le proprie idee davanti ad una immensa platea di sconosciuti, godendo il conforto di applausi fatti di click? Sono molti a pensare che è in atto un confronto-scontro di civiltà che cammina sulle orme della immigrazione. È un fenomeno mai verificatosi nella storia dell’umanità in proporzione così rilevante; e se gli adulti sono molto perplessi e spaventati nel proporre le loro ricette per la soluzione dei problemi sul tappeto i giovani hanno un ulteriore drammatico motivo di stupore: il comportamento dei loro “maestri”. Quegli stessi che da posizione “didattica” sottolineavano fino a ieri con forza la superiorità assoluta dei valori della solidarietà che dicevano di rappresentare ed in cui invitavano i giovani a credere, oggi sono pronti a ridimensionarli in nome della contingenza che detta una condotta in netto contrasto con la solidarietà. Che tale condotta sia propria anche di una vasta platea dei cosiddetti “cristiani” non fa che aumentare la perplessità dei giovani, che al di là della fede ne colgono il netto contrasto con i proclami umanitari che solcano i cieli della politica. Perché i giovani dovrebbero abbracciare i valori dell’etica senza compromessi in presenza di “maestri” dell’etica del compromesso? Questa risposta, che chiude il nostro dialogo, apre orizzonti di discussione che meriterebbero un altro lungo incontro.
Giovanni Esposito
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