Si inaugura a Palazzo Reale la grande antologica dedicata a Emilio Isgrò

Cultura e spettacolo

Milano 30 Giugno – Una grande antologica contemporaneamente allestita in tre sedi è l’omaggio che Milano tributa a Emilio Isgrò, un artista che ha dedicato la vita alla ricerca di linguaggi originali e alla creazione di uno stile unico, che intreccia parole e segno grafico, materia e poesia.

La mostra ospita oltre 200 opere tra libri cancellati, quadri e installazioni; continua alle Gallerie d’Italia dove è esposta l’anteprima del celebre ritratto di Alessandro Manzoni dipinto da Hayez e cancellato in bianco e si conclude alla Casa del Manzoni con “I promessi sposi cancellati per venticinque lettori e dieci appestati”.27859206142_b7573d3b90_z

Presenta il corpus di opere storiche modulato attraverso blocchi tematici e intervallato da grandi installazioni, che rappresentano uno degli aspetti più significativi della sua complessa produzione e si apre con una riflessione sull’identità e l’autorialità, temi che l’artista ha toccato fin dalla fine degli anni Sessanta con le opere “Il Cristo cancellatore” (1968) e “Dichiaro di non essere Emilio Isgrò” (1971), per arrivare quarant’anni dopo al “Dichiaro di essere Emilio Isgrò,” l’imponente opera che ha dato il titolo alla sua antologica del 2008 a Prato.

Successivamente, è affrontata quella che l’artista ha definito “arte generale del segno”, ovvero l’evoluzione nel tempo della cancellatura e della poesia visiva. Dalle prime cancellature degli anni Sessanta all’”Enciclopedia Treccani” (1970), da “I promessi sposi non erano due” (1967) alla “Costituzione cancellata” (2010), alla “Cancellazione del debito pubblico” (2011), al “Trittico del Sole” (2013) e a “Modello Italia” (2013). E, inoltre, le prime poesie visive, tra cui le famose “Wolkswagen” (1964) e “Jacqueline” (1965), insieme a un inedito “Antony and Cleopatra” (1966), alle “storie rosse” (alcune di queste mai esposte) e all’installazione-ambiente “Giap”.

Il percorso prosegue con il racconto del passaggio che dalle “lettere estratte” (lettere o note  musicali estrapolate dal loro contesto) ha portato alla nascita delle macchie e alla cancellatura come gesto incline alla pittura, ma ancora non pittorico. Il segno, nei primi anni Ottanta, da nero si muta in bianco, e al testo scritto spesso si sostituisce un’immagine. Le installazioni “L’ora italiana” (1985) e “La veglia di Bach” (1985), ricostruite in mostra, rappresentano la straordinaria summa di questa ricerca che ha portato alla realizzazione del ciclo “Guglielmo Tell”, presentato nella sala personale alla 45° Biennale di Venezia (1993) e ora riallestito a Palazzo Reale. Come focusindispensabile alla comprensione dell’opera dell’artista, sarà riproposta l’installazione-partitura per quindici pianoforti Chopin.

Trova spazio un’altra variante concettuale della cancellatura, i “particolari ingranditi”, dei quali Isgrò dice: “Una parola cancellata sarà sempre una macchia, ma resta pur sempre una parola. Un particolare smisuratamente ingrandito di Kissinger o di Mao sarà un’immagine cancellata, ma resta pur sempre un’immagine”. Si deve partire dai “particolari ingranditi” per comprendere la progressione che ha portato l’artista a ideare le sculture dedicate ai semi d’arancia come il monumentale Seme dell’Altissimo. Il tema del seme s’intreccia con il filone di riflessione intorno alla cultura mediterranea, rappresentato dal ciclo delle api e delle formiche — in mostra anche Biografia di uno scarafaggio (1980) e Le api di Istanbul (2010) — e dal ritorno alla parola nel grandioso ciclo teatraleL’Orestea di Gibellina (documentato in mostra) che ha segnato la rifondazione del paese siciliano distrutto dal terremoto del 1968.

L’esposizione termina con una sala dedicata alla “trilogia dei censurati”, un ciclo di lavori che Isgrò ha dedicato nel 2014 a personaggi la cui sorte fu condizionata da opinioni e poteri consolidati. Protagonisti di questo ciclo sono Giovanni Pico della Mirandola e le sue “Conclusiones” cancellate; i notevoli ritratti di Galileo Galilei, Girolamo Savonarola e Curzio Malaparte; e infine Giovanni Testori con la grande opera “Dove comincia il Ponte della Ghisolfa” (2014) legata alla monumentale cancellatura nello spazio pubblico di Piazza Gino Valle al Portello.

La mostra prosegue alle Gallerie d’Italia dove nel caveau, utilizzato per la prima volta come spazio espositivo, è custodito “L’occhio di Alessandro Manzoni”, un’inattesa, emozionante cancellazione del famoso ritratto di Hayez. Isgrò riconosce nel grande scrittore il simbolo di una unità nazionale più che mai necessaria nell’Italia che cambia con l’Europa e con il mondo. Non è un caso che la mostra si concluda a Casa del Manzoni, dove l’artista ritorna a distanza di cinquant’anni sul capolavoro manzoniano cancellandone venticinque volumi, lo stesso numero di lettori che l’autoironico, scaramantico figlio di Giulia Beccaria prevedeva per se stesso.

Emilio Isgrò, nato a Barcellona di Sicilia nel 1937, arriva a Milano nel 1956 che diventa la sua città e il suo luogo di lavoro.

Con le prime cancellature realizzate nel 1964 Isgrò ha fondato un nuovo linguaggio di grande originalità e trasparenza. Da oltre cinquant’anni l’artista interviene sul testo in tutte le lingue e in tutte le forme (libri, manifesti, telex, giornali) coprendo con un segno la quasi totalità delle parole per far emergere frasi e piccoli frammenti: espressioni monche vòlte a ricostruire quelle identità umane che rischiano di essere travolte da guerre e da conflitti non soltanto mediatici.

Ma parallelamente alla trasformazione dei testi in un’indecifrabile, affascinante griglia pittorica, Isgrò ha utilizzato la parola anche per scrivere poesie, romanzi, drammi, tragedie teatrali, articoli su giornali e riviste.

Questa sua estrema libertà nell’uso del linguaggio lo rende una figura unica nel panorama dell’arte contemporanea nazionale e internazionale facendone uno degli indiscussi protagonisti.

Attraverso un percorso ricco e lineare, Isgrò è stato tra il 1964 e il 1975 il massimo  autore e teorico della poesia visiva, prendendone le distanze quando ha considerato esaurita la forza propulsiva del movimento; ha anticipato l’arte concettuale, di cui non ha mai condiviso le regole restrittive; ha rinnovato la sua ricerca sperimentale, ritornando alla parola e all’impegno etico; e si è confrontato con i temi più pressanti della globalizzazione, rimettendo al centro del dibattito la cultura mediterranea.

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