Milano 1 Luglio – Una famiglia di dentisti abusivi. Padre, madre e figlia che d’amore e d’accordo per anni nel loro studio hanno visitato i pazienti, praticato interventi anche complessi, somministrato anestesie, prescritto farmaci e ordinato visite di controllo senza che nessuno dei tre si fosse preso il disturbo, nel corso del tempo, di prendersi una laurea in Medicina. La storia è andata avanti per anni, a Busto Arsizio, finché le vittime (pare il termine corretto) non hanno deciso di chieder loro i danni innescando un’inchiesta giudiziaria. E ieri, dopo una prima condanna dell’anno scorso, la corte d’appello ha ribadito per tutti e tre il verdetto di colpevolezza per il reato di esercizio abusivo della professione dentistica aggiungendo per l’intero terzetto familiare anche la condanna per lesioni colpose gravi, che in primo grado aveva colpito solo il papà. Alla fine, un anno e due mesi di reclusione per il “dottor” Carlo Castiglioni, 60 anni, nove mesi per la moglie Elisabetta Gallazzi, 59 e sei mesi alla figlia Valentina, 39. Nel loro centro dentistico San Rocco capitò nel 2008, fra gli altri, anche A. D.S., che ebbe la cattiva idea di farsi impiantare proprio dai Castiglioni protesi destinate a lasciare su di lui – secondo l’accusa – danni guaribili in 40 giorni come una sinusite, difficoltà respiratorie, peridontite e la devitalizzazione sbagliata di un dente, ma anche l’indebolimento permanente dell’organo della masticazione.
La corte d’appello ieri ha condannato poi l’intera famiglia al risarcimento della parte offesa, difesa dagli avvocati Nicola Brigida e Marcello Gentili, confermando una provvisionale di 40mila euro. Sarà invece un separato giudizio civile a stabilire l’entità totale del danno, quantificato dai due legali in circa 70 mila euro. Nelle motivazioni della condanna di primo grado, il giudice Daniela Frattini aveva ripercorso la vera e propria odissea dentistica dello sfortunato paziente D.S., che dopo essersi messo nelle mani dei tre abusivi ne aveva riportato “alitosi, e mal di testa” che si erano via via aggravati. Era stato un altro dentista (vero) a scoprire una “sinusite in fase acuta”. Così aveva dovuto sottoporre il poveretto prima ad un “intervento di rimozione del dente che appoggiava sull’impianto responsabile della sinusite” e poi alla rimozione dell’impianto stesso “e pulizia del seno mascellare”. E se in primo grado il tribunale aveva ritenuto di dover diversificare le responsabilità di chi aveva effettuato gli impianti sbagliati (il padre) da chi invece aveva somministrato anestesie e prescritto farmaci (madre e figlia), ieri la corte d’appello, accogliendo i ricorsi della procura generale e degli avvocati Brigida e Gentili ha invece distribuito equamente in famiglia anche la responsabilità delle lesioni gravi oltre a quella, mai in discussione, di aver esercitato una professione per la quale i tre non erano abilitati ed, evidentemente, nemmeno portati. (Il Giorno)
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