Milano 3 Luglio – Milano nuova Londra? Il tam tam sotto il Duomo è cominciato all’indomani della Brexit. Dall’America, invece, non ci credono. Che forse si dovrà trovare una nuova «casa» in Europa per la finanza mondiale dopo l’uscita di Londra dalla Ue non lo escludono. Ma se dovessero scommetterci, gli americani – o almeno così la pensa il quotidiano New York Times – non punterebbero su Milano. In un articolo uscito venerdì primo luglio, il giornalista James B. Stewart ha raccolto le preferenze di esperti di alcune delle maggiori società finanziarie internazionali che hanno risposto alla domanda: «Dove muovereste la vostra sede se Londra uscisse effettivamente dalla Ue?». Ebbene, dopo aver sondato i loro pareri e aver compilato una classifica quasi «scientifica» seguendo criteri specifici e studi internazionali, è risultato che Milano non è certo in cima alle preferenze. Anzi, si piazza al penultimo posto, solo prima di Barcellona e al pari di Varsavia.
La classifica
Per compilare la classifica e assegnare a ciascuna città europea un punteggio che va da zero a un massimo di 60, il New York Times si è basato su alcuni parametri tra cui: la conoscenza e l’uso dell’inglese, leggi del lavoro flessibili, trasporti e infrastrutture efficienti, disponibilità di alloggi e uffici di alto livello, ottime scuole, ristoranti d’eccellenza e un’ampia offerta culturale.
Milano ha preso «solamente» 24 punti. Ecco le motivazioni, che in parte assomigliano a quelle che hanno fatto arrivare ultima in classifica Barcellona. Eccellenti ristoranti e lo shopping (forse) migliore del mondo sono i punti a favore. E poi, certo, è già un centro finanziario. Ma è carente in tutte le altra categorie, compreso quello che il giornalista chiama «business climate» (l’Italia è 45esima secondo la World bank). E, da ultimo, voto negativo anche per i due aeroporti della città: Malpensa e Linate andrebbero rimodernati e resi più efficienti.
Stesso punteggio di Milano, si diceva, per Varsavia: la capitale polacca attrae perché ha leggi sul lavoro flessibili e un costo della vita basso. E poi, accoglierebbe a braccia aperte il gotha della finanza (che non sarebbe ovunque ben visto). Ma è troppo poco «glamour» e la qualità della vita lascia ancora desiderare.
E allora, in una ipotetica partita di pallone, finirebbe ai supplementari con la nostra Milano.
Ai primi posti
Vanno meglio di Milano Lussemburgo, con il suo spirito multiculturale e indipendente o Parigi, la sola vera grande capitale europea che in grandezza può competere con Londra. Ma si tratta di una città oggi profondamente in crisi per vari motivi, dalla ferita del terrorismo alle tensioni sociali. E poi, chi non sa che i francesi non amano chi non parla la loro lingua?
Vanno bene invece le città del nord, che si piazzano in cima alla classifica con oltre 50 punti, da Francoforte a Dublino, passando per Vienna. Ma la candidata più papabile per occupare il posto di Londra, secondo il New York Times, è Amsterdam, che vince agilmente con 55 punti (non il massimo, però…): non solo il 90% degli olandesi parlano fluentemente l’inglese. Le scuole sono tra le migliori in Europa, la città è un gioiellino con i suoi canali, teatri, case di charme, immersa in una atmosfera cosmopolita e tollerante, coltivata in secoli di commerci e scambi a livello internazionale.
Ma se a essere esaminata con gli stessi parametri fosse la stessa Londra, quanto prenderebbe?, si domanda il giornalista in chiusura di pezzo. Ebbene, arriverebbe a un punteggio di 58. Quindi, ancora una volta, Londra sarebbe la scelta migliore. Non si arriva a 60 per il costo della vita: decisamente troppo alto. Ma, secondo gli americani, questo è un chiaro segno che «il primato non verrebbe eroso anche se Londra uscisse effettivamente dalla Ue, allora perché infliggersi questa tortura?».
Insomma, per Milano non ci sarebbe comunque una possibilità. La pensano così gli stessi inglesi, che nei giorni successivi alla Brexit, almeno sulla stampa, non hanno mai citato il Piazza Affari come papabile nuova sede europea della finanza. Non ci sono Expo o post Expo che tengano.
Francesca Gambarini (Corriere)
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