Conoscere Croce per conoscere il coraggio della libertà

Cultura e spettacolo

Milano 9 Luglio – Benedetto Croce è stato l’intellettuale atipico per eccellenza nell’Italia moderna. In una cultura dominata dal conformismo, dall’ossequio al potere e dalla caccia alla prebenda – soprattutto nella forma dell’impiego (pubblico) – don Benedetto è stato l’anti-tipo. Non conformista culturalmente: non positivista allorquando il positivismo era in auge. Antifascista quando il fascismo era al governo e anticomunista quando allo stesso andarono i comunisti. Mai “strutturato” in un impiego, neppure in una cattedra universitaria dove avrebbe fatto onore (all’Università).

Questa (rara) particolarità di Croce è così spiegata dall’autore Giancristiano Desiderio (“Lo scandalo Croce. Quel vizio insopportabile della libertà” – Liberilibri Macerata 2016, pp. 104, Euro 15): “Eccolo qui l’autentico scandalo crociano: la coscienza e la cultura della libertà. È sempre stata questa concezione libera della cultura e della vita umana il cuore nel cuore del pensiero di Croce”; per cui “ciò che fa la differenza tra Croce e gli altri intellettuali e filosofi e uomini politici è che Croce non solo teorizzò e predicò la libertà, ma la praticò anche. È la differenza centrale – lo scandalo – che non si tollerava né a destra, né a sinistra, né al centro”.

Dopo la morte, l’esempio morale e politico di Croce fu pertanto svalutato artatamente. Una congrega di intellettuali organici e di conformisti “a stipendio e con l’inquadramento”, non poteva fare altrimenti. Ma non era facile da realizzare, data la statura e la considerazione anche internazionale di Croce: “Siccome non si sapeva come prenderla la si buttò in politica o lo si accusò addirittura di provincialismo (sic!) o si sostenne che non capì la psicanalisi o che svalutò la sociologia e le scienze e via di questo passo con panzane che non mette conto di ripetere perché mi scappa da ridere e piangere insieme”, scrive l’autore. Era ben compreso dai suoi critici – postumi e irregimentati – che “lo storicismo crociano è per sua natura avverso al totalitarismo e non si lascia ricondurre alle tessere di partito, alle cattedre universitarie, al conformismo e al servilismo intellettuale”.

Anche l’Università non era il luogo del pensiero libero, a giudizio di Croce: “Nell’università viene meno l’elemento del pensare perché in luogo della vita e dei problemi della storia e dell’esistenza ad essa legati a doppio filo ci sono la carriera e l’interesse pratico. L’università è una macchina che sforna professori, mentre il pensiero risolve o prova a risolvere problemi e crea uomini. Il figlio del professore è il saccente, mentre il figlio del filosofo è l’uomo”.

Come è scritto nel sottotitolo del libro, Croce aveva “quel vizio insopportabile della libertà”, che è proprio ciò che conformisti, intellettuali organici, funzionari e carrieristi in genere più aborriscono (e forse taluno lo invidia, pure). Anche – e forse soprattutto – perché intrupparsi ed aggregarsi (nel senso di gregge) evita di pensare; e di pensare originale. Cosa difficile, mentre è più alla portata dei mediocri – e più redditizio – copiare e in ogni caso, cantare nel coro.

La considerazione di Croce nel secondo dopoguerra è così stata largamente influenzata dal duplice conformismo: politico e scientifico-culturale, talvolta riferibile ad ambienti diversi, tal altra allo stesso. In particolare l’atteggiamento del Pci, tutto teso alla conquista dell’egemonia, fu condizionato da Croce. Anche se spesso fu la stessa intelligenza politica dei suoi dirigenti (Togliatti in testa) a concepire tattiche – allo scopo – più di aggiramento che di attacco frontale.

Scrive Desiderio che Spadolini onestamente parlava di “debito con Croce” della cultura italiana: “Infatti, il ‘problema Croce’ non è speculativo ma civile e così tutti, non solo i crociani ma anche gli anti, gli ex e i post-crociani hanno un debito con Croce che seppe schiarire e custodire la libertà mettendola al centro non solo del pensiero e dell’azione ma della stessa storia d’Italia”; diversamente da altri filosofi che nel XX secolo operarono al contrario, Croce distinse filosofi e potere: “Il matrimonio tra filosofia e potere non fu solo il tragico errore di Gentile ma anche di Heidegger che vide in Hitler il Führer che voleva consigliare Stalin, di Sartre che adulò Castro”. Per cui, come scrive l’autore, “è curioso, ma vale la pena notarlo: proprio Croce che fece di Machiavelli e dell’autonomia della politica addirittura una ‘categoria dello spirito’ – l’Utile – proprio Croce non fu mai consigliere del principe e, al contrario, la sua filosofia è tutta pensata come una critica dei poteri per mettere in risalto la coscienza della libertà e le singole libertà civili e morali di uomini e donne. Il debito con Croce è quello di riconoscere che ci ha consegnato una cultura non solo antifascista ma anche anticomunista ossia antitotalitaria”.

Ossia, per un Paese come l’Italia, eretica.

 Teodoro Klitsche de la Grange (L’Opinione)

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