Milano 9 Luglio – Non conosciamo ancora la motivazione che ha permesso alla Corte costituzionale di ritenere compatibile con la Costituzione il contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro che lo Stato è autorizzato a prelevare sino alla conclusione dell’anno in corso.
Lo scarno comunicato stampa emesso dal Palazzo della Consulta unitamente a qualche precedente pronuncia della medesima Corte sulla stessa materia ci permettono tuttavia di fare alcune prime seppur brevi considerazioni.
La Corte costituzionale ha escluso anzitutto che questa volta il prelievo sulle pensioni potesse avere natura tributaria, e ciò nonostante le precedenti sentenze n. 116/2013 e n. 223/2012 per mezzo delle quali si era espressa per un diverso avviso. I giudici delle leggi infatti avevano chiarito che “il contributo di solidarietà”, per quanto limitato nel tempo, incidendo sulla pensione quale retribuzione differita di una sola categoria di contribuenti, seppur per impellenti ragioni di riequilibrio finanziario, non potesse che considerarsi un tributo, applicato in palese violazione del principio di uguaglianza e progressività di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
In particolare la Corte costituzionale ha ritenuto nelle precedenti sentenze che un prelievo forzoso a carico esclusivamente di una sola categoria di cittadini violasse il principio dell’universalità dell’imposizione ponendosi in contrasto con il fondamentale canone della ragionevolezza. Il prelievo così congegnato si paleserebbe inoltre arbitrario perché restringerebbe le disponibilità economiche di una sola categoria di contribuenti (esentandone altre con il medesimo reddito) rivelandosi per di più utile solo ad impinguare le casse dello Stato in misura nettamente inferiore a quanto si potrebbe realizzare per mezzo di un “universale intervento impositivo”.
Non sarà di certo facile per la Corte redigere una motivazione che neghi l’inserimento del contributo di solidarietà nel novero dei prelievi tributari, ne’ sarà semplice anche per i lettori più esperti condividere le conclusioni della Consulta sul punto in esame. E ciò anche perché, come è stato osservato a caldo da qualche acuto osservatore, nel comunicato stampa con il quale la Corte ha dato conto dell’esito del giudizio, da un lato, si afferma come il contributo di solidarietà non abbia natura tributaria, dall’altro si sottolinea come lo stesso prelievo rispetti il principio di progressività, che, come si sa, rappresenta la cifra giuridica del sistema tributario secondo quanto recita la nostra Carta costituzionale.
Dal Palazzo della Consulta ci hanno fatto sapere ancora di avere lucida consapevolezza del fatto che il contributo di solidarietà, proprio perché imposto ad una sola categoria di pensionati, “comporta innegabilmente un sacrificio”, ma allo stesso tempo ci hanno spiegato in pochissime righe come esso possa trovare legittimazione in virtù del suo inserimento all’interno del circuito previdenziale.
In buona sostanza dalle poche battute del comunicato la Corte sembrerebbe dire che togliere a chi ha in abbondanza per dare a chi ha di meno non configuri più l’ubi consistam della tassazione a scopi di redistribuzione quante volte la partita di giro coinvolga soggetti appartenenti ad una medesima categoria perché, nel caso di specie, pensionati diversamente retribuiti.
La decisione della Consulta, allo stato, tende ad apparire non convincente da un punto di vista giuridico e ciò nonostante essa sembra essere stata ben accolta da ampi settori dell’opinione pubblica perché ha contribuito a prendere di mira le pensioni retributive considerate non a torto un privilegio stridente con il canone dell’equità fra le diverse generazioni di lavoratori.
Esistono ragioni tuttavia che sconsigliano di ritenere quella battuta dalla Corte costituzionale una strada innovativa meritevole di essere percorsa in altre e diverse occasioni, sopratutto se si vuole agire nel rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini-contribuenti.
Le pensioni retributive non rappresentano di certo un trofeo di cui menar vanto e tuttavia solo una riforma di carattere generale che colpisca tutti coloro che ne sono titolari potrà risultare conforme ai canoni dello Stato di diritto, primo tra tutti al sacrosanto principio di uguaglianza.
Qualsiasi altra scorciatoia, al pari di quella che ha dato origine alla decisione di cui si attende il deposito delle motivazioni, condurrà inevitabilmente all’arbitrio di Stato, al riconoscimento del potere assoluto di scegliere, di volta in volta, a seconda dei tempi e delle modalità che più aggradano al legislatore, le categorie più disparate da mungere per periodi non predefiniti, per aliquote non predeterminate e per finalità tutte da inventare.
Non sappiamo ancora, in assenza delle motivazioni, se la Corte abbia circoscritto adeguatamente per il futuro l’esercizio di questo particolare tipo di potere impositivo statale, né se la sentenza contenga, come parrebbe auspicabile, un monito al legislatore ad affrontare in maniera sistematica la questione delle pensioni d’oro retributive. Ciò che si può affermare, tuttavia, è che ancora una volta i limiti all’esercizio del potere autoritativo e le garanzie a tutela delle libertà dei cittadini sembrano essere rimaste latitanti.
Il fatto che questo sia accaduto davanti alla Corte costituzionale non è per niente un viatico di cui esser soddisfatti.
Rocco Todero (Leoni Blog)
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