Trump: il peggiore dei migliori

Esteri

Milano 23 Luglio – Due giorni fa è finita la corsa delle primarie dei Repubblicani USA. Non saranno primarie che saranno dimenticate tanto presto. Sono state le più grandi, le più affollate e le più partecipate degli ultimi decenni. Ed hanno incoronato il candidato meno probabile, il più scorretto, il meno preparato ed al contempo il più vero e meno costruito dei contendenti. Sono state primarie dure, aspre e sicuramente lasceranno cicatrici sul volto del Partito. Di Trump si sa già tutto, ma chi sono i migliori che ci hanno lasciati, consentendo al peggiore di fare man bassa di voti?

Il Grand Old Party. Non il Partito Repubblicano, che assume oggi una nuova veste ed una nuova missione. No, il GOP. Il partito antischiavista. Il partito neoconservatore. Il partito del grande potere che conferisce grandi responsabilità. Il partito di Lincoln, di Eisenhower, di Ford, di Reagan. Un partito che ha scritto un immaginario, muore oggi sotto il peso della paura. Alla paura la destra cessa di rispondere con l’orgoglio ed il coraggio, ripiegando sull’isolazionismo. Trump stringerebbe patti con chiunque per proteggere i confini ed imporrebbe qualunque tassa per impedire la fuga dei capitali. E pagherebbe qualsiasi prezzo per la pace. La sua deterrenza è la minaccia di escalation coniugata con la decisa perimetrazione dell’area di intervento. Che temo coinciderà con Martha’s vineyard.

Il Conservatorismo USA. Gli Americani, soprattutto a destra, amano parlare di eccezionalismo Americano. È un mix di libertà, economia con pochi vincoli, diritto di armarsi e sospetto per lo Stato. Questo modo di essere conservatori è da trent’anni la cifra stilistica della destra Usa, ma è talmente iscritta nei geni degli Americani che nemmeno due presidenze Democratiche sono riuscite a scalfire significativamente la disciplina legislativa in materia. Trump rende omaggio alle armi ed alla Bibbia, certo. Ma non alla dottrina che le tiene insieme. Cede sul libero scambio con l’estero, cede sulla libertà economica, cede sull’idea stessa che lo Stato debba solo retrocedere. No, lo Stato di Donald intercede. E’ voce degli ultimi. È la morte dell’eccezione Americana, per reincarnarsi in un Salvinismo che alla polenta taragna sostituisce il barbeque.

Il Tea Party. Il tea Party muore non di consunzione ma di successo. Nacque per dire all’establishment che la base era arrabbiata. Crebbe portando alla ribalta volti nuovi e tesi nuove. Travolse i limite del politicamente corretto. E nel suo ascendere ha spianato la strada per l’uragano Donald. Ha ucciso i suoi due figli, Rubio e Cruz, per consentire a Trump di mergere. Oggi ha esaurito la sua spinta. L’intero partito è ormai un campo di battaglia, ma le istanze del movimento sono ubiquitarie. E chi non è con loro è spazzato via, basta vedere la magra figura di Jeb Bush.

La Famiglia Bush. Jeb è stato l’ultimo rampollo di una nobiltà che ha attraversato tre decenni e due generazioni. E su di sé ha portato, pagandoli con il fallimento della campagna, i fallimenti di chi lo ha preceduto. Muore con lui il centrodestra Americano. E temo che arriveremo a rimpiangerlo.

Sulle macerie di tutto questo sorride Trump. Se dall’altra parte non ci fosse Hillary la scelta sarebbe facile. Ma Hillary c’è. Quindi, secondo coscienza, non resta che tifare per il peggiore dei migliori.

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